PAOLO BORSELLINO e i 57 giorni che seguirono la strage di Capaci
“Non sono né un eroe né un Kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento…
Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno”. P.B
“Sul lungomare di Carini, il giorno prima di morire, “Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere” A.B
Alla presentazione a Roma del libro “Gli uomini del disonore” di Pino Arlacchi al tavolo siedono Vincenzo Parisi, Pino Arlacchi, Vincenzo Scotti, Paolo Borsellino e Leonardo Mondadori. Al termine della presentazione del libro si parla di Falcone e della Superprocura, dal pubblico viene una domanda: “Dottor Borsellino, prenderebbe il posto di Falcone?” Borsellino esita alcuni secondi poi replica: ”No, non ho intenzione…”. A sorpresa interviene il ministro degli interni Scotti che dichiara: “Lo candido io. Con il collega Martelli abbiamo chiesto al CSM di riaprire i termini del concorso ed invito formalmente il giudice Borsellino a candidarsi”. Borsellino è imbarazzato ma dal suo viso trapela un’indignazione senza confini: ”Non so…comunque, nel caso dovesse esser proposto il mio nome, sarà necessario procedere alla riapertura dei termini per la presentazione delle candidature”.*
Venerdì 29 maggio 1992
Paolo Borsellino riguardo alla sua possibile candidatura alla guida della DNA dichiara: ”Nessuno ha chiesto la mia disponibilità”.
I colleghi della Procura di Palermo che gli sono più vicini invitano Borsellino a respingere l’offerta fattagli dal ministro perché lo ritengono cento volte più utile come procuratore aggiunto a Palermo che come Superprocuratore a Roma. Antonio Ingroia e Vittorio Teresi scrivono un documento in cui chiedono formalmente a Borsellino di rimanere. Lo firmano, Alfredo Morvillo, Gioacchino Scaduto, Leonardo Guarnotta, Roberto Scarpinato, Gioacchino Natoli. Borsellino approva inizialmente l’iniziativa, corregge persino alcune frasi che possono sembrare polemiche. * Paolo Borsellino. Il valore di una vita, Umberto Lucentini, Mondadori, 1994
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di Federica Olivo
HUFFPOST 23.10.2021
Gli ultimi 57 giorni di Paolo Borsellino: 23 maggio 1992 – Dal libro di Enrico Deaglio, la cronologia degli avvenimenti tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio
Il nuovo libro di Enrico Deaglio – “Il vile agguato“ (Feltrinelli) – è dedicato alle indagini sulla strage di via D’Amelio a Palermo in cui fu ucciso il magistrato Paolo Borsellino assieme a cinque agenti della sua scorta, il 19 luglio 1992. Il libro si conclude con una “succinta cronologia degli ultimi cinquantasei giorni di vita di Paolo Borsellino, compresi avvenimenti che avevano a che fare con lui, ma di cui non era a conoscenza”. Il Post pubblicherà in sequenza, assieme al secondo capitolo del libro, la successione di quegli eventi, a vent’anni di distanza.
23 maggio 1992
Paolo Borsellino accorre all’ospedale civico di Palermo dove è stato portato, in coma, Giovanni Falcone. È accompagnato dalla figlia Lucia. Le notizie sulla sorte del magistrato sono le più disparate: è ferito, ha le gambe spezzate, è già morto. Borsellino ottiene di poter entrare nella sala di rianimazione da cui esce pochi minuti dopo le 20. Mormora: “Giovanni mi è morto tra le braccia”. Consola la figlia Lucia che piange, riesce a mantenere per qualche attimo una compostezza, ma ha lo sguardo sbarrato; si accascia su una sedia in un pianto dirotto.
Il giorno dopo trasporta a braccia il feretro per l’esposizione nell’atrio del palazzo di giustizia, delle due salme: Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. Si rivolge ai colleghi: “Chi vuol andare via da questa procura può farlo. Chi resta sappia che questo è il destino, il futuro è quello”.
Giovanni Falcone a cinquantatré anni è il più famoso giudice antimafia del mondo, quello che ha svelato e distrutto Cosa nostra, a Palermo e a New York. Aveva lasciato Palermo dove la sua vita era in pericolo, dopo la scoperta di un attentato con esplosivo piazzato davanti alla villa affittata per le vacanze, nel 1989. Chiamato dal ministro Claudio Martelli a Roma come ispettore generale degli istituti di prevenzione e pena. È il principale riferimento del procuratore distrettuale antimafia di New York, Rudolph Giuliani e del capo dell’Fbi Louis Freeh. Falcone sta per diventare procuratore nazionale antimafia, con poteri di coordinamento di tutte le inchieste, creazione di un archivio centralizzato, maggiori poteri di intervento e uso della Dia (Direzione investigativa antimafia), nuova formazione esplicitamente dedicata alla lotta alla mafia.
La nomina è possibile, ma non sicura. All’interno del Csm Falcone ha ancora molti nemici, sia a sinistra sia a destra. Alla Corte di cassazione sicuramente non lo amano. Il famoso e potentissimo giudice Corrado Carnevale, in conversazioni telefoniche con colleghi, non smette di insultare Falcone e Borsellino, anche da morti, applaudendo alla furbizia della mafia che insieme a lui è riuscita a uccidere anche la moglie di Giovanni.
Falcone viene ricordato anche al palazzo di giustizia di Milano (la sede della popolarissima inchiesta Mani pulite), ma una giovane magistrata, Ilda Boccassini, interrompe il clima di composta commemorazione, accusando i famosi colleghi di aver sempre osteggiato Falcone e la sua azione.
La società italiana è traumatizzata dalla notizia dell’attentato, la Rai impone di non interrompere i programmi di intrattenimento, per non alimentare il panico. Tramontano le ultime possibilità per Giulio Andreotti di diventare presidente della repubblica. Il 25 maggio, a sorpresa, viene eletto presidente Oscar Luigi Scalfaro, democristiano senza correnti, di Novara.
Palermo si riempie di lenzuola bianche appesi ai balconi, segno di resistenza. Poliziotti e magistrati accusano i loro vertici di essere collusi con la mafia.