Ripercorrere ogni anno, in questo periodo, la via crucis del dott. Paolo Emanuele Borsellino lungo quei terribili 57 giorni fra Capaci e Via D’Amelio, significa rievocare le immagini di un Uomo la cui potenza del pensiero e delle parole strideva con l’evidente e progressivo senso di fragilità del suo corpo, sempre più indebolito e maltrattato da tante sigarette per attenuare l’angoscia di una fine imminente di cui Egli non fece assolutamente mistero con dichiarazioni, anche pubbliche.
Rileggendo gli avvenimenti di allora alla luce anche delle più recenti acquisizioni processuali, emerge il terribile clima di tensione all’interno della Procura di Palermo, cui era approdato, dopo l’esperienza di Marsala, nel marzo del 1992.
Mi riferisco, in particolare, alle testimonianze dei colleghi della Procura di Palermo davanti al CSM del luglio 1992. Esse, per quanto fondamentali, non sono mai state riversate nei numerosi processi sulla strage di via D’Amelio, e quindi, di fatto, tenute segrete per oltre trent’anni.
In quelle testimonianze vi è la descrizione puntuale delle dinamiche, inutilmente pretestuose e ostracizzanti messe in atto dal Procuratore Capo dott. Pietro Giammanco verso il dott. Borsellino, la cui unica colpa era di comprendere, attraverso la valorizzazione di determinate indagini, le ragioni dell’escalation criminale in corso.
In particolare, la ricostruzione consacrata ormai in numerose sentenze, ci consegna e cristallizza il fervente interesse del dott. Borsellino per le indagini compendiate nel Rapporto del ROS dei carabinieri del febbraio del 1991 (il c.d. Dossier mafia-appalti).
Ma soprattutto si tratta di testimonianze fondamentali per comprendere le dinamiche sottostanti
la creazione di quel particolare contesto di isolamento e delegittimazione del dott. Borsellino in seno al proprio Ufficio, quale prodomo necessario per la realizzazione di quelle condizioni obiettive per agevolarne l’eliminazione.
Da profondissimo conoscitore delle dinamiche e delle strategie di Cosa Nostra, egli intuì e percepì chiaramente che, dopo l’omicidio di Salvo Lima ( 12 marzo 1992) e l’eccidio di Capaci, avrebbe potuto essere lui il prossimo obiettivo.
Come ricordato dalla moglie Agnese Piraino, Paolo Borsellino riteneva che il proprio destino fosse inscindibilmente legato a quello di Giovanni Falcone, nella ferma convinzione che a fare da scudo alla propria vita ci sarebbe stata quella dell’amico e collega.
Ma il culmine della prostrazione psico-fisica raggiunta in quei 57 giorni dal Giudice Borsellino emerge chiaramente dalle dichiarazioni dei magistrati Alessandra Camassa e Massimo Russo, acquisite fra il 2009 ed il 2010 nel corso delle indagini seguite alla collaborazione di Gaspare Spatuzza.
Secondo la testimonianza dei colleghi, che ben conoscevano il Giudice Borsellino quale Capo della Procura di Marsala, dove gli stessi svolgevano all’epoca dei fatti la funzione di Sostituti Procuratori, questi in lacrime ebbe a confessare a loro di essere stato tradito da un amico.
I due magistrati hanno dichiarato apertamente di non avere mai visto il Giudice Borsellino in quelle condizioni e soprattutto di non essere stati in grado di superare l’imbarazzo di quella situazione così tragica quanto inaspettata per cui si limitarono a raccoglierne lo sfogo.
Sfogo preceduto da un’altra frase del giudice Borsellino pesantemente significativa “ qui (ndr riferendosi alla Procura di Palermo) è un nido di vipere”.
D’altra parte, le ansie e le preoccupazioni del Giudice Borsellino in quei 57 giorni fra le due stragi sono state oggetto della testimonianza di soggetti particolarmente qualificati.
Dal loro narrato emerge lo stato di profonda ed assoluta solitudine del Giudice Borsellino, assillato dalla necessità di fare in fretta, per potere offrire all’Autorità Giudiziaria competente il suo contributo per chiarire e spiegare, dall’alto della sua esperienza, le dinamiche e le causali sottese alla strategia terroristico-mafiosa in atto.
Significative, sotto questo profilo, appaiono le dichiarazioni dell’Avvocatessa Fernanda Contri, all’epoca dei fatti Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri (pag.309 e ss. Sentenza Borsellino quater abbreviato) e della già citata D.ssa Liliana Ferraro ( pagg.330/331 quater abbreviato dove si riporta il verbale di sommarie informazioni testimoniali del 14 ottobre 2014 dove la teste testualmente dichiara: “ Borsellino mi disse che era solo”.
Così come significativa e per certi versi drammatica è la testimonianza del sacerdote Cesare Rattoballi cui fu chiesto il 18 luglio 1992 dal Giudice Borsellino di recarsi presso l’ufficio della Procura di Palermo perché gli somministrasse il sacramento della confessione.
Le gravissime preoccupazioni del Giudice Borsellino per il destino della moglie Agnese e dei figli Lucia, Manfredi e Fiammetta, si rinvengono nella testimonianza resa nell’ambito del processo Borsellino ter dal colonnello Umberto Sinico, all’epoca dei fatti capitano.
Alle pagg. 239/241 della sentenza egli testualmente afferma: “ Borsellino scelse il sacrificio. Sapeva dell’attentato ma mi disse che doveva lasciare qualche spiraglio, se no avrebbero potuto colpire la sua famiglia”.
E proprio guardando dentro alla famiglia nucleare del Giudice Borsellino, può senza dubbio affermarsi che la strage di Capaci ebbe sicuramente l’effetto di segnare l’epilogo di una vita normale.
Per quanto normale possa definirsi la vita di una famiglia già costretta da oltre un decennio, sia pure nella totale condivisione ed unità d’intenti, ad un’esistenza blindata e costantemente preoccupata per il prezzo che quell’impegno avrebbe potuto comportare.
Invero, pur essendo da molto tempo in primissima linea nell’azione di contrasto a Cosa Nostra, il Giudice Borsellino aveva cercato di garantire comunque una certa serenità alla sua famiglia.
Tale serenità era stata vulnerata drammaticamente in occasione dell’improvviso e forzato trasferimento della famiglia presso l’isola dell’Asinara nell’agosto del 1985.
Trasferimento motivato dal pericolo per la vita dei Giudici Falcone e Borsellino a seguito delle uccisioni per mano mafiosa del Commissario Beppe Montana e del Vice Questore Ninni Cassarà, fra la fine di luglio e di primi di agosto del 1985.
Tale eccezionale misura di salvaguardia consentì loro effettivamente di redigere la monumentale ordinanza/sentenza istruttoria del maxiprocesso.
Prima e dopo quest’episodio la vita familiare del Giudice Borsellino era comunque caratterizzata da una accettabile serenità, attesa, da un lato, la capacità del Giudice Borsellino di essere sempre presente nei momenti più significativi ed importanti della moglie e dei figli, dall’altra, la sua notoria predisposizione a sdrammatizzare ed esorcizzare con ironia i pericoli enormi derivanti dallo svolgimento della sua professione.
Questo difficile equilibrio, fra dedizione all’impegno professionale e cura delle relazioni familiari, si rompe drammaticamente dopo il 23 maggio 1992.
La convinzione del Giudice, manifestata più volte anche pubblicamente, di non avere più tanto tempo a disposizione, lo costrinsero ad un lavoro frenetico con un sensibile peggioramento della vita affettiva e di relazione all’interno della famiglia.
Il Giudice Borsellino perse definitivamente quel sorriso che egli era comunque riuscito a donare alla sua famiglia nel corso di quella vera e propria guerra, anche dopo avere visto cadere sull’altare della lotta alla mafia altre magnifiche vite ( Boris Giuliano, il capitano Basile, il consigliere Chinnici, il Generale Dalla Chiesa, Montana , Cassarà ed Antiochia e tanti altri ancora) pur nella convinzione di essere “un cadavere che cammina” come gli ebbe a dire Ninni Cassarà in sede di sopralluogo dell’omicidio di Beppe Montana.
Come ricordato dalla figlia Lucia, al Giudice Borsellino i capelli erano diventati bianchi in pochi giorni, e per la prima volta la moglie ed i figli videro il proprio congiunto ostaggio di una perenne tensione e preoccupazione che nemmeno l’ambiente familiare riesciva a stemperare ed attenuare, come era sempre accaduto in precedenza.
Anzi il Giudice Borsellino si mostrava con i figli addirittura scontroso e distaccato, quasi a volerli preparare al dopo; alla moglie invece riserverà, in dialoghi tragici, le più intime considerazioni sulle gravi ragioni di una fine che sa essere imminente.
Con effetti dirompenti e lesivi della sacralità e pienezza dei rapporti affettivi in seno alla famiglia nucleare del dott. Borsellino.
Di fronte alla descrizione di un dolore che con il passare del tempo si accresce, in considerazione del fatto che si è pure scoperto che le indagini ed i primi processi sulla strage di Via D’Amelio, hanno costituito l’ambito di elezione per il confezionamento del più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana, è giunto il momento, ineludibile, di scoprire ed indagare quello che accadde nella Procura di Palermo una volta che il dott. Borsellino ebbe ad approdarvi.
Si dice spesso che lo Stato non è pronto ad accogliere gli inconfessabili segreti di quella stagione.
Questa affermazione è per noi condivisibile nella misura in cui in esso Stato venga finalmente compresa l’istituzione magistratuale dentro cui fra mille difficoltà ed invidie, Giovanni Falcone prima e Paolo Borsellino poi, cercarono di fare il loro dovere sino al compimento dell’estremo sacrificio.
Cerchiamo di esserne degni fino in fondo con coraggio e determinazione, seguendo il loro metodo nella lettura degli eventi e senza assecondare ricostruzioni fantasiose il cui obiettivo è rendere vieppiù difficile il già faticoso tentativo di ricostruzione
Fabio Alfredo Trizzino
©️ PROGETTO SAN FRANCESCO 8 luglio 2023
24 maggio 2025 Nel momento in cui ho cercato di capire perché un anima nobile come quella del dott. Borsellino avesse potuto definire la Procura di Palermo un nido di vipere, sapevo, anzi sapevamo, a cosa saremmo andati incontro.
Pertanto, l’agitazione dei molti non ci sorprende. Con compostezza e sacrificio noi andremo avanti fino in fondo, rispondendo unicamente alla nostra coscienza. La posta in gioco è altissima: la credibilità di tutto il lavoro di Falcone e Borsellino e, prima ancora, di Rocco Chinnici.
RASSEGNA STAMPA
- 10.7.2023 La Sicilia
- 9.7.2023 La Valle dei Templi
- 13.7.2023 L’UNITÁ
- 13.7.2023 L’OPINIONE DELLA LIBERTÀ
- 27.4.2023 Stato-mafia, famiglia Borsellino: TRIZZINO:“Ora concentrarsi sul nido di vipere…”
- 7.10.2023 Il legale di Borsellino: «Paolo voleva arrestare il procuratore Giammanco che riteneva infedele»
- 28.9.2023 Legale della famiglia Borsellino all’Antimafia: “Indagare sulla Procura di quegli anni che umiliò il giudice”
- 27.9.2023 FABIO TRIZZINO, legale famiglia Borsellino: “Il giudice ha vissuto inferno, indagare su ambienti Procura ’92’
- 27.9.2023 Il legale della famiglia Borsellino all’Antimafia: indagare sulla procura di Palermo nel 1992
- 10.7.2023 – I due mesi di BORSELLINO tra le vipere – di Fabio Trizzino
5.5.2012 Borsellino disse: io nel nido di vipere
Un mese prima di morire Paolo Borsellino «appariva come trasfigurato, senza più sorrisi. Era provato, appesantito, piegato». Da poche settimane la mafia aveva ucciso il suo amico Giovanni Falcone nel massacro di Capaci, e lui continuava a lavorare nel suo ufficio di procuratore aggiunto a Palermo, che però considerava «un nido di vipere».
19 luglio 2021 FABIO TRIZZINO: “il “nido di vipere” al Tribunale di Palermo e l’archiviazione di Mafia e Appalti” – AUDIO
Fiammetta Borsellino: “papà tradito da pm nido di vipere”/ “Ucciso non solo da Mafia”
Le rivelazioni del dottor Ingroia
VIDEO
- “ANTONIO INGROIA: “Dopo una riunione Borsellino disse a Pignatone e Lo Forte: sul rapporto mafia e appalti non me la raccontate giusta”
- Ora anche INGROIA accusa PIGNATONE: “Era in rapporti con i boss della mafia”
- INGROIA: “Pignatone? Magistrato antitetico a Falcone e Borsellino. Implacabile con i deboli, indulgente con i forti”
- Rapporto Mafia e Appalti: ANTONIO INGROIA, Borsellino aveva la sensazione che a Palermo lo stessero insabbiando.
- Il j’accue di Ingroia: “Borsellino non si fidava di molti pm”
- Ingroia: “Borsellino perseguitato dalle vipere della Procura”
- INGROIA “Misero BORSELLINO in un angolo
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- Trattativa, Ingroia: ”Da Cassazione segnale che lo Stato non può processare sé stesso”
- Trattativa? Ecco cosa disse Ciancimino a Mori, Ingroia e Caselli
È vero che Paolo Borsellino aveva definito la procura di Palermo un “nido di vipere”? E perchè?
Si tratta di giudizi e valutazioni che fece il dott. Borsellino e che comunicò anche a me. Sicuramente è vero, era un “nido di vipere” dove il clima era veramente teso. È certo che Paolo Borsellino si fidava davvero di pochi magistrati lì dentro, e aveva ragione.
Tanto che più di una volta mi è capitato, mentre parlavamo e mi stava raccontando qualcosa di riservato, che lui interrompesse bruscamente la conversazione.
Ingroia, che Borsellino fosse interessato al dossier mafia e appalti lo aveva dichiarato inizialmente al Borsellino bis.
“Fra questi vi era una serie di indicazioni riguardo indagini che aveva seguito o di cui si era comunque interessato in questo periodo il dottore FALCONE, ed il dottore BORSELLINO ricordo che mi disse: “GIOVANNI non aveva l’abitudine di tenere un diario. Se ha deciso di appuntarsi queste frasi e questi riferimenti a questi episodi, vuol dire che dietro questi fatti e questi episodi c’e’ molto di piu’ di quanto non appaia”. Pertanto, ritengo che si possa partire, si debba partire, dall’approfondimento anche di questi fatti e
di queste vicende. Tra questi, per esempio, un fatto… uno di quelli – comunque e’ facile verificare dall’agenda – comunque, uno di quelli cui egli mi fece riferimento fu la vicenda relativa all’ormai famigerato rapporto del R.O.S. dei Carabinieri su mafia e appalti, rispetto al quale ora non ricordo esattamente quale riferimento vi fosse nel diario di GIOVANNI FALCONE e rispetto al quale PAOLO BORSELLINO ebbe dei colloqui sia con ufficiali dei Carabinieri sia con colleghi del mio Ufficio per cercare, insomma, un po’ di ricostruire quella… la storia di quel rapporto.
P.M. dott. DI MATTEO: – Quindi, mi corregga se ho capito
male, per un’esigenza di precisazione: il dottore BORSELLINO le accenno’ tra le possibili piste a quella riconducibile a questo rapporto mafia ed appalti?
AVV. MAMMANA: – No, no. Non mi pare che l’abbia detto…
P.M. dott. DI MATTEO: – Ce lo deve dire il teste se…
AVV. MAMMANA: – Si’. Ma la premessa… Lo facciamo ripetere quello che ha detto…
PRESIDENTE: – Quello che io raccomando al Pubblico Ministero le stesse cose che ho sempre raccomandato evitare: delle sintesi delle dichiarazioni.
P.M. dott. DI MATTEO: – Comunque, ci chiarira’ il teste, se ho capito male, perche’ non penso di avere capito male. Allora, se puo’ precisare quali tra le possibili piste investigative, anche a seguito del rinvenimento di quel diario, chiamiamolo cosi’, del dottor FALCONE, il dottor BORSELLINO e se, le chiedo uno sforzo di memoria, in che modo, eventualmente, tra queste piste c’era quella che concerneva quell’indagine scaturita dalla presentazione di questo rapporto.
TESTE INGROIA: – No. Forse non sono stato abbastanza
chiaro. Cioe’, il… non aveva, ripeto, PAOLO BORSELLINO una idea precisa di piste relative al movente al di la’ del fatto, come ho detto poc’anzi, che era assolutamente convinto che si trattasse di una strage di “Cosa Nostra”. Rispetto al diario non che lui ritenesse che dietro ogni annotazione contenuta nel diario potesse esservi una pista riconducibile alla matrice della strage, ma riteneva che vi erano degli episodi che sono stati sicuramente importanti per GIOVANNI FALCONE, tanto da indurlo a annotarli. Anzi ricordo, se non ricordo male, che GIOVANNI FALCO… che PAOLO BORSELLINO mi disse anche che aveva avuto modo, una volta, di… che GIOVANNI FALCONE gli aveva accennato a questi brani che si era annotato nel suo diario, facendogli in qualche
modo capire che erano… dietro vi erano, appunto, dei fatti importanti; e pero’ riteneva che fosse necessario, quindi, approfondire. Cioe’: “Visto che GIOVANNI FALCONE ha lasciato questa traccia relativamente all’episodio X ed all’episodio Y, e’ giusto, devo cercare, devo partire da qui, cercare di fare chiarezza su questi episodi”. Non che… non so se sono stato chiaro, non che da questo conseguisse necessariamente che quella li’ fosse una pista relativa alla matrice della strage.
P.M. dott. DI MATTEO: – E nella ricostruzione, in questa ottica di ricostruzione di queste possibili…
TESTE INGROIA: – Certo, e’ chiaro che era fatto…
P.M. dott. DI MATTEO: – Lei dice: “Parlo’ anche con ufficiali dei Carabinieri e miei colleghi”. Di che attivita’ si tratto’? Di acquisizione di documentazione, di informazioni che chiedeva a questi ufficiali dei Carabinieri? Per quello che le risulta.
TESTE INGROIA: – Bisogna mettersi un attimo, dico, nell’ottica di quei giorni, cioe’ dopo la strage di Capaci, cosi’ come avvenne dopo la strage di via D’Amelio, al di la’ della indagine formale, ciascuno… Al di la’ della indagine formale, ciascuno di noi, anche per i rapporti di amicizia con la vittima della
strage, aveva anche l’esigenza personale di cercare di capire, di capire di piu’. Quindi non e’ che il dottore BORSELLINO impianto’ una qualche indagine formale con acquisizione di documenti e audizione di testimoni. Io sto dicendo che voleva cercare di capire di piu’ su quelli… su quei fatti per cui ebbe dei colloqui con ufficiali dei Carabinieri e colleghi del mio Ufficio.”
Borsellino bis
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PAOLO BORSELLINO, il coraggio della solitudine in attesa di essere ammazzato