PAOLO BORSELLINO, l’uomo e il magistrato

 

Lo scrittore catanese Alfio Caruso nel suo libro “I Siciliani” annovera Paolo Borsellino nella sezione “I devoti di un dio minore” asserendo che:«sulla sponda del diritto e sulla sponda del sopruso si sono spesso fronteggiati appartenenti a una storia comune. Volti conosciuti, volti amati, volti di ragazzi assieme ai quali si sono condivisi gli sbadigli in classe, le gite dell’oratorio, le partite di pallone sulla spiaggia vicino al mare dell’innocenza. Tutti proiettati verso un immancabile destino di gioia. Molti sono andati a morire per l’ansia di mostrarlo. Ci si fa ammazzare dalla mafia per gli stessi motivi per cui la mafia ammazza. I camposanti sono pieni di siciliani uccisi per non essersi lasciati incantare dal clima, dal mare, dal sole, dagli amori, dagli odori, dagli “uomini di rispetto”, dagli “sperti e malandrini”, dai gattopardi, dai galantuomini, dai compari. I  migliori della generazione che pensava di sconfiggere la mafia, sono finiti sotto una croce per testimoniare che esiste un’altra Sicilia, che questa Sicilia non si arrende e mai si arrenderà, che ci sarà sempre una voce libera pronta ad alzarsi contro l’assuefazione al peggio, contro il ributtante imbroglio dell’ “onorata società”»

 

VISTO DA VICINO


HANNO DETTO DI LUI


I SUOI SOSTITUTI…

 

 

 

 

 

 


BIOGRAFIA

 


IMMAGINI

 

 

 

 

Medaglia d’oro al valor civile. 

«Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo, esercitava la propria missione con profondo impegno e grande coraggio, dedicando ogni sua energia a respingere con rigorosa coerenza la proterva sfida lanciata dalle organizzazioni mafiose allo Stato democratico. Nonostante le continue e gravi minacce, proseguiva con zelo ed eroica determinazione il suo duro lavoro di investigatore, ma veniva barbaramente trucidato in un vile agguato, tesogli con efferata ferocia, sacrificando la propria esistenza, vissuta al servizio dei più alti ideali di giustizia e delle Istituzioni.

 

 

 

Le giornate di Paolo Borsellino sono pressoché tutte identiche: sveglia alle ore cinque, arrivo in procura alle ore sette.

 
Permqnenza in ufficio fino alle ore ventuno, rientro a casa, quindi cena e ancora lavoro fino a notte fonda. Questi ritmi così sostenuti si spiegano con una frase che Paolo è solito ripetere ai suoi familiari in quei giorni.
Il giudice è convinto che il prossimo obiettivo della mafia sarà lui: egli è l’erede naturale di Giovanni Falcone. Un rapporto dei ROS degli ultimi giorni di giugno segnala l’arrivo a Palermo di un carico di materiale esplosivo; Paolo ha pochi dubbi: il tritolo è per lui e il tempo che ha a disposizione per scoprire la verità sulla strage di Capaci è poco. La morte di Francesca lo ha sconvolto non solamente perché era una sua cara amica, ma anche perché egli vuole evitare che in un possibile attentato contro di lui possano essere coinvolti la moglie, i figli o gli uomini della scorta, che considera come figli adottivi. Per questo motivo Borsellino viola le più elementari norme di sicurezza: la mattina esce di casa da solo, senza scorta, facendo sempre il solito percorso per andare a comprare le sigarette e il giornale; inoltre, inizia a viaggiare da solo sulla sua Fiat Croma blindata, mentre gli uomini della scorta sono stipati dentro l’altra auto blindata. Così facendo il giudice vuole mandare un chiaro segnale ai suoi assassini: se lo vogliono colpire possono farlo quando lui è solo, la mattina a piedi o mentre si sposta in auto per andare in procura o per rientrare a casa la sera. (Paolo Borsellino un eroe semplice di Roberto Rossetti)

 

Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione

 
E’ stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era lui? Per amore! La sua vita è stata un atto d’amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria cui apparteniamo.  (G. Lo Bianco-S.Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino)

Porta in spalla la bara di Giovanni Falcone, gli restano ancora cinquantacinque giorni.

Una pioggia violenta lava Palermo, il carro funebre è già scomparso fra i vicoli che scendono verso il mare. Anche il becchino ha fretta di seppellire il morto.
È solo, adesso è solo come non lo è stato mai. Neanche quando la sua vita è cambiata in una notte di maggio di tanti anni prima, il capitano di Monreale steso a terra e lui precipitato in un incubo.
Dicono che è l’erede, l’ultimo testimone. Ora è diventato anche il bersaglio.
Ha poco tempo. Vuole parlare. Non lo fanno parlare. Vuole indagare. Non lo fanno indagare.
Si scopre abbandonato, mandato allo sbaraglio da gente di Roma che nell’ombra sta trattando la resa. Sono in molti a tremare per i suoi segreti. Forse aspettano un miracolo o un’altra bomba.
Uomo di legge e di coraggio, siciliano di fibra forte, fino all’ultimo non si rassegna. Ha rabbia e orgoglio per non piegarsi nemmeno ai nemici più invisibili.
Si getta nel vuoto Paolo Borsellino, magistrato di Palermo, assassinato dall’esplosivo mafioso e dal cinismo di un’Italia canaglia che l’ha visto morire senza fare nulla. Tradito e venduto.
Va incontro al suo destino accarezzando i figli, tenta disperatamente di sopravvivere fino a quella domenica afosa di mezza estate. Il 19 luglio del 1992.
L’agenda rossa che ha sempre con sé non si troverà mai.
(Attilio Bolzoni)


Ci sapeva fare con i mafiosi pentiti

 
Paolo Borsellino, così come Giovanni Falcone. Alcuni sostengono che una delle cause del delitto sia stata proprio l’essere vicino a scoprire i mandanti e gli esecutori della strage di Capaci. Voleva continuare a difendere Giovanni Falcone come aveva fatto quando l’amico era vivo. In ogni caso, Paolo Borsellino aveva certamente il senso di andare incontro alla sua morte. Avrebbe potuto cambiare strada, ne avrebbe avuto motivo più che in passato. Rimase per fedeltà a un’amicizia. Il 23 giugno del 1992, a Palermo, nella monumentale basilica di san Domenico, Borsellino tenne uno splendido discorso in memoria dell’amico Falcone, le sue parole, rievocate oggi, hanno ancora un timbro umano inconfondibile.
Parlando di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ci parlava di se stesso:
Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché non si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! la sua vita è stata un atto d’amore verso la sua città, verso la terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto
ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore la patria cui apparteniamo (da l’agenda rossa di Paolo Borsellino)
Borsellino e Falcone sono stati testimoni -è questo il significato del termine <>- di una fede nella giustizia e di una speranza di redenzione che sole, al di là di ogni responsabilità dello Stato, possono cambiare la Sicilia e sconfiggere la mafia.   (dal libro di Vincenzo Ceruso -UOMINI CONTRO LA MAFIA)


 

Il suo cell. 0337 896345

 


23 maggio 1992 – dall’AGENDA GRIGIA di PAOLO BORSELLINO


Il ricordo del Presidente della Repubblica SERGIO MATTARELLA: “La strage di Via D’Amelio ha segnato profondamente la nostra storia”

 

«L’attentato di via D’Amelio, venne concepito e messo in atto con brutale disumanità. Paolo Borsellino pagò con la vita la propria rettitudine e la coerenza di uomo delle istituzioni. Con lui morirono gli agenti della scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina.
La memoria di quella strage, che ha segnato così profondamente la storia repubblicana, suscita tuttora una immutata commozione, e insieme rinnova la consapevolezza della necessità dell’impegno comune per sradicare le mafie, per contrastare l’illegalità, per spezzare connivenze e complicità che favoriscono la presenza criminale”. Il 23 maggio del 2022 nell’aula bunker di Palermo per l’anniversario della strage di Capaci, il Presidente della Repubblica e aveva scandito: “O si sta contro la mafia o si è complici, non ci sono alternative”.
“Paolo Borsellino, e come lui Giovanni Falcone, sapevano bene che la lotta alla mafia richiede una forte collaborazione tra Istituzioni e società. Per questo si sono spesi con ogni energia”. Ma i due magistrati inventarono un modo nuovo di indagare la mafia: “Hanno espresso altissime qualità professionali.
Hanno intrapreso strade nuove, più efficaci, nelle indagini e nei processi. Hanno testimoniato, da uomini dello Stato, come le mafie possono essere sconfitte, hanno dimostrato che la loro organizzazione, i loro piani possono essere svelati e che i loro capi e i loro sicari possono essere assicurati alla giustizia. Per questo sono stati uccisi”. Non si sono mai rassegnati e si sono battuti per la dignità della nostra vita civile. Sono stati e saranno sempre un esempio per i cittadini e per i giovani. Tanti importanti risultati nella lotta alle mafie si sono ottenuti negli anni grazie al lavoro di Borsellino e Falcone”.
La Repubblica è vicina ai familiari di Borsellino e ai familiari dei servitori dello Stato, la cui vita è stata crudelmente spezzata per colpire le libertà di tutti. Onorare quei sacrifici, promuovendo la legalità e la civiltà, è un dovere morale che avvertiamo nelle nostre coscienze»


Falcone e Borsellino erano odiati dai colleghi



In pochi giorni mi sento invecchiato di almeno 10 anni, non solo perché ho perso un grande amico, ma anche perché ho perso il mio scudo. Mi sento solo. 
Paolo Borsellino
 
 
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