VIA D’AMELIO – L’attentato e le indagini

 

 

 

TUTTI I PIANI DELLA CUPOLA PER ELIMINARE UN MAGISTRATO CHE FACEVA PAURA  

 

 

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Martedì 2 giugno 1992 all’indomani della strage di Capaci, per Borsellino scatta un nuovo piano di protezione.

In prefettura si studiano le abitudini del Magistrato e si scopre che durante la settimana ha tre appuntamenti fissi: il Palazzo di giustizia, la chiesa di Santa Luisa di Marillac e la visita all’anziana madre.  Gli agenti di scorta sollecitano invano l’istituzione di una zona rimozione in via D’Amelio.
 

19 luglio 1992  La Strage di Via D’Amelio La bomba esplode alle 16.58. Il primo lancio dell’agenzia Ansa è delle 17.16.


RELAZIONI E RAPPORTI


23 gennaio 1999  VIA D’AMELIO – Ricostruzione della Strage – Dalla Sentenza Appello “Borsellino Uno”  SEGUE





LE RISULTANZE DELLE INDAGINI TECNICHE  

La Corte d’Assise ha ripercorso, quanto già accertato dal processo, cd “BORSELLINO uno”, laddove avevano reso testimonianza i tecnici ed esperti incaricati delle prime indagini e quelli investiti di CTP dall’organo requirente in una successiva fase segue


ANALISI DEGLI ACCERTAMENTI MEDICO LEGALI, DEI RILIEVI TECNICI ESEGUITI E DEGLI SVILUPPI INVESTIGATIVI 

Dalla SENTENZA PRIMO GRADO BORSELLINO Bis 27 gennaio 1996


VIA D’AMELIO e i Servizi…


19 luglio 1994 Conferenza Stampa Procura di Caltanisetta – Il punto sulle indagini

AUDIO e TRASCRIZIONI

  • GIOVANNI TINEBRA
  • ILDA BOCCASSINI

VIA D’AMELIO – I PROCESSI 




GALLERIA FOTOGRAFICA


VIDEO


VIDEO – VIA D’AMELIO


 

 

 

 

 

 

 

 

VAI ALLO SPECIALE

 

La testimonianza dell’agente di scorta sopravvissuto  Antonio Vullo

 

I “buchi” delle prime indagini   […] Se – da un lato – è assolutamente certo, alla luce degli approdi dei precedenti processi (sul punto, confermati dalle risultanze di questo), che la consumazione della strage del 19 luglio 1992 avveniva utilizzando, come autobomba, proprio la Fiat 126 rubata a Pietrina Valenti, è innegabile che vi sono delle oggettive incongruenze nello sviluppo delle primissime indagini per questi fatti e che rimangano diverse zone d’ombra… segue

  • E I KILLER SI RAMMARICANO PER NON AVERLI UCCISI INSIEME   
  • LA FAMIGLIA GANCI A DISPOSIZIONE   
  • IL FALSO ALLARME 
  • UCCIDERE IL GIUDICE UNA SETTIMANA PRIMA 

Ecco i misteri irrisolti   La prima svolta nelle indagini sulla Strage di via D’Amelio in cui perse la vita il giudicPaolo Borsellino è arrivata col “Borsellino quater” che ha certificato nel 2017 il colossale depistaggio  segue

  • L’UOMO MISTERIOSO NEL GARAGE 
  • IL TELEFONO INTERCETTATO 
  • CHI AZIONÒ IL TELECOMANDO? 
  • LE CICCHE E IL VETRO SCUDATO
  • IL CASTELLO UTVEGGIO 
  • L’AGENDA ROSSA 
  • IL DEPISTAGGIO 

19.8.1992 BORSELLINO: LE INDAGINI AD UN MESE DALLA STRAGE

 

Ad un mese dalla strage di via D’Amelio, nella quale hanno perso la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, le indagini condotte dalla procura distrettuale di Caltanissetta proseguono a ritmo serrato. L’inchiesta si muove su tre direttrici: il binario scientifico, quello degli accertamenti peritali sull’esplosivo utilizzato, sul tipo di innesco, che mira a ricostruire la dinamica globale dell’attentato; l’esame della nuova geografia mafiosa, con lo studio dei probabili organigrammi attuali delle cosche, parzialmente ricostruiti grazie alle informative di polizia e carabinieri e le rivelazioni dei pentiti; e, infine, l’apporto dei collaboratori della giustizia, alcuni dei quali avrebbero già fornito elementi utili alle indagini sulla strage di Capaci nella quale rimasero uccisi il giudice Falcone, la moglie e tre agenti della scorta.
Proprio ieri uno dei sostituti del Caltanissetta è volato in una località segreta per interrogare alcuni ”pentiti” e altri testimoni che potrebbero fornire una chiave di lettura attendibile della strage di via D’Amelio. Lo stesso magistrato ha acquisito anche fascicoli e atti processuali da altre autorità giudiziarie. E’ prossima alla conclusione, infine, l’indagine sulle linee telefoniche della casa della sorella del giudice Borsellino per accertare la possibilità di un’intercettazione da parte della mafia. I giudici attendono ancora le conclusioni della perizia affidata al funzionario di polizia Gioacchino Genchi, anche se affermano che ”esistono serie ragioni per credere che la linea sia stata intercettata”.
L’inchiesta è connessa a quella per la strage di Capaci. Pietro Vaccara, uno dei quattro sostituti della Procura distrettuale antimafia di Caltanissetta, osserva che mentre sull’uccisione di Falcone, della moglie e degli agenti della scorta ”sono state acquisite diverse piste positive, che sembrano confluire in un quadro unico, su Borsellino invece sappiamo ancora ben poco”. Sulle due stragi, per Vaccara, potrebbe trovare collocazione anche la ”logica” che ha ispirato l’uccisione dell’on. Salvo Lima. Il magistrato ritiene che la difficoltà maggiore stia nel mistero sui vertici di Cosa Nostra: ”Siamo fermi a due anni fa, i nuovi pentiti – osserva – non hanno fornito contributi sui corleonesi e più in generale sulla ‘famiglie’ di Palermo”. I giudici di Caltanissetta in settembre riceveranno dai periti indicazioni conclusive del tipo e quantità degli esplosivi delle due stragi: ”Dai primi indizi – ha detto Vaccara – sembrerebbe una miscela di due tipi di esplosivo. Le certezze giungeranno dopo che in laboratorio sarà simulata l’esplosione di Capaci”.
Il sostituto procuratore Pietro Vaccara, rispondendo a Caltanissetta alle domande dei giornalisti, ha detto che ”alcuni degli identikit della strage di Capaci sono risultati positivi, qualcosa si sta muovendo”. Alla domanda se i presunti responsabili della strage vengano ricercati in Italia o all’estero, il magistrato ha risposto: ”è una ricerca senza confini”. In ambienti giudiziari nisseni, inoltre, viene data per ”imminente” l’ unificazione delle due inchieste, a riprova di una presunta stretta connessione tra le due stragi. Vaccara ha quindi chiarito i motivi per i quali tra il 9 ed il 10 settembre in un poligono militare della provincia di Livorno verranno simulate le esplosioni che provocarono le due stragi. I cinque periti italiani intendono – ha spiegato il magistrato – non solo verificare se come essi già ritengono nel primo caso sia stata usata una miscela di tritolo e dinamite e nel secondo una carica di plastico, tipo ”Sintex”, ma anche quante persone erano necessarie per predisporre, nei ruoli diversi, le due stragi, ed i ”tempi” occorrenti per approntarle. Il deposito della conclusione di queste perizie e’ prevista per fine settembre. Nel poligono militare toscano sono gia’ in corso i preparativi per le due simulazioni. (ANSA).


“Un amico mi ha tradito”, il pianto di Borsellino e le nuove indagini sul depistaggio


Inquietante il ricordo che Agnese Borsellino, la vedova di Paolo, ha raccontato al settimanale “Left” alla fine del 2011: “Mi chiamò l’ex presidente Cossiga un mese prima di morire. In quella telefonata mi disse: ‘La storia di via D’Amelio è da colpo di stato’. Poi chiuse il telefono senza dirmi nient’altro”.



Nel 2008 spunta sulla scena dei dichiaranti un ex killer di Brancaccio, Gaspare Spatuzza,
che dalla cella del 41 bis dov’era sepolto dagli ergastoli ha proposto al procuratore nazionale antimafia Piero Grasso la sua versione dei fatti sulla strage di via d’Amelio.  Dice
di volere “il perdono di Dio” e chiede  un incontro a un vescovo, per confessarsi.
Davanti ai magistrati della Procura di Caltanissetta, Spatuzza smentisce il pentito Vincenzo Scarantino sulla dinamica del furto dell’autobomba e poi sulla sua preparazione; ha introdotto soprattutto altre presenze nel gruppo operativo rispetto a quelle già consacrate nelle sentenze definitive.

 

13.10.2011 – La richiesta della Procura generale di Caltanissetta  –  L’ordinanza

 

La Procura di Caltanissetta, diretta da Sergio Lari, ha poi chiesto l’emissione di quattro ordinanze di custodia cautelare, riguardanti il capomafia pluriergastolano Salvino Madonia (è accusato di aver partecipato nel dicembre 1991 alla riunione della Cupola in cui si decise l’avvio della strategia stragista), i boss Vittorio Tutino e Salvatore Vitale (il primo rubò con Spatuzza la 126 per la strage; il secondo abitava nel palazzo della madre di Borsellino, in via d’Amelio, e avrebbe fatto da talpa agli stragisti). Un quarto provvedimento ha riguardato il pentito Calogero Pulci, era l’unico in libertà: è accusato di calunnia aggravata, perché con le sue dichiarazioni avrebbe finito per fare da riscontro al falso pentito Vincenzo Scarantino


LA BORSA e L’AGENDA ROSSA  Ci sono troppi profili di quel tragico disegno stragista che restano ancora oscuri. Bisogna insistere perché gli eventi vengano ricostruiti in tutte le loro implicazioni e sfaccettature. Le dichiarazioni rilasciate dal pentito e gli elementi da lui forniti alle Procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo hanno consentito di ristabilire finalmente alcune verità sulle stragi.  Occorre seguire un metodo preciso nella ricostruzione delle vicende, lo stesso metodo che ha ispirato la mia carriera di magistrato: credere solo a quello che è riscontrabile, provato, offrire elementi di conoscenza, anche piccoli, che aggiungano tasselli al quadro, senza cadere nella tentazione di dipingere scenari opinabili, anche se suggestivi, ipotetici e non dimostrabili. Se si vuole chiarezza, si deve partire da ciò che è accertato, senza smettere di sollevare interrogativi e sottolineare i punti oscuri che richiedono un’ulteriore riflessione. Pietro Grasso 


NON SOLO LA BARBERA DIETRO I BUCHI NERI 

  • L’Avvocato ROSALBA DI GREGORIO nel suo libro scrive: «Facile oggi attribuire la colpa al solo La Barbera che è morto. Ma dietro, chi c’era? L’esplosivo lo porta Spatuzza, ma il Semtex chi lo porta?» 
  • Tra gli scarcerati dopo la ritrattazione di Scarantino c’è GAETANO SCOTTO, il boss dei misteri, 
  • La pista sul CASTELLO UTVEGGIO E I SERVIZI SEGRETI fu archiviata anni fa. Alla luce della conferma del depistaggio, e del ruolo di La Barbera, oggi è stata ripresa questa pista? 
  • La Procura di Messina sta indagando sui pm Palma e Petralia. Per loro l’accusa è pesantissima: concorso in calunnia, aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. Di recente però ha presentato richiesta di archiviazione. 
  • Lei tempo fa ha accusato proprio ANNAMARIA PALMA.
  • Ci sono poi dei TABULATI SCOMPARSI
  • L’agenda rossa di Borsellino
  • Che cosa c’era nei tabulati in entrata di Borsellino?
  • Il mistero dei misteri resta l’AGENDA ROSSA. Fiammetta Borsellino ha considerato “contraddittorie” le numerose versioni del pm AYALA 
  • In termini di intercettazioni: cosa non è stato fatto, e cosa si sarebbe potuto fare per scoprire prima il depistaggio ed evitare questo macroscopico errore giudiziario?  
  • ILDA BOCCASSINI ha puntato il dito contro di lei
  • Il caso MONTANTE sembrerebbe intrecciarsi in qualche modo con la vicenda TRATTATIVA. I magistrati che indagano su di lui sospettano che possa avere una COPIA DELLE INTERCETTAZIONI MANCINO-NAPOLITANO

 

La strage di via D’Amelio fu “anticipata” dal Capo dei capi di Corleone?

 

Il furto della Fiat 126

In sostanza, quando gli fu dato, la mattina del sabato precedente alla strage, l’incarico di rubare le targhe da apporre alla Fiat 126 per consentirne lo spostamento in via D’Amelio, vi provvide lo stesso giorno (con la complicità di Orofino Giuseppe, presso cui era ricoverata per riparazioni l’altra Fiat 126 di proprietà di Sferrazza Anna, da cui vennero asportate le targhe). Invece, per il furto dell’auto passarono alcuni giorni rispetto al momento in cui gli era stato dato l’incarico. Spatuzza non era un ladro d’auto e allora dovette chiedere l’autorizzazione ad avvalersi di Tutino Vittorio, più esperto di lui in materia. Inoltre, si pose un problema di competenza, perché voleva essere certo di potere effettuare il furto in qualsiasi pane del territorio di Palermo, anche fuori del mandamento di Brancaccio.
Si rivolse quindi a Cannella che a sua volta dovette interpellare Giuseppe Graviano. E passò qualche giorno prima di avere la risposta. E solo allora Spatuzza poté concordare con il Tutino il giorno in cui vedersi per andare a rubare un’auto del tipo richiesto.
Deve quindi convenirsi con la conclusione cui sono pervenuti i giudici del Borsellino quater — che peraltro si riportano a risultanze già acquisite nel corso dei precedenti processi sulla strage di via D’Amelio, annotate nelle sentenze versate anche agli atti di questo processo -secondo cui l’incarico di Giuseppe Graviano a Gaspare Spatuzza per rubare una Fiat 126 può senz’altro collocarsi alla fine del mese di giugno 1992. Anche se alcuni dei preparativi, come il collaudo dei telecomandi effettuato in località Case Ferreri dietro il Sigros di Palermo, di cui ha riferito, per avervi preso parte, il collaboratore di giustizia Giovanbattista Ferrante, furono compiuti molto più a ridosso del 19 luglio (Sabato li luglio, come il Ferrante aveva detto deponendo al Borsellino ter; o, come ha dichiarato in questo processo, una settimana o dieci giorni prima della strage). E c’è un’altra risultanza che ci viene dalle pagine dei processi celebrati sulla strage di via D’Amelio, e che non è stata scalfita dalle revisioni dei giudicati a seguito delle verità emerse in relazione al depistaggio attuato con le sue false propalazioni dal sedicente pentito Vincenzo Scarantino.  
La scelta del luogo e del giorno (la domenica) non é né casuale né estemporanea, ma dovette essere preceduta da un’accurata attività di pedinamento e di osservazione degli spostamenti abituali del magistrato, che condusse gli assassini a individuare il luogo più propizio in cui piazzare l’autobomba in via D’Amelio, dove era ubicata l’abitazione non della madre del dott. Borsellino, ma della sorella Rita, presso la quale la madre soleva stare, in genere, nei fine settimana: quando appunto il dott. Borsellino si recava in via D’Amelio per fare visita all’anziana madre.
Tale attività preparatoria deve avere richiesto diverse settimane (come in effetti sembrerebbe evincersi dalla pur scarne dichiarazioni rese al riguardo in particolare da Galliano Antonino), come si evince dal passaggio che segue della sentenza nr. 29/97 della Corte d’Assise di Caltanissetta: […]. Il dato dell’abitualità delle visite in via D’Amelio, nei fine settimana, per andare a trovare la madre, a fronte dell’incertezza delle visite a casa dell’altra sorella, che avveniva durante i giorni feriali, ma non con regolarità, conferma che lo studio delle abitudini della vittima e dei suoi spostamenti più abituati deve essersi protratta per diverse settimane.

Ci fu accelerazione?

Ebbene, la sentenza impugnata ha totalmente omesso di confrontarsi con le risultanze sopra richiamate, nello sforzo di dimostrare non solo che vi fu una brusca accelerazione dell’iter esecutivo della strage di via D’Amelio; ma anche che tale accelerazione ivi dovuta a uno specifico evento sopravvenuto dopo la strage di Capaci: un evento nuovo, non previsto e di tal portata da stravolgere il programma criminoso di Riina, e sopravvenuto poco prima del 19 luglio, tanto da indurre Riina a stoppare altri progetti omicidiari già in fase avanzata di esecuzione (come l’attentato a Mannino, di cui ha parlato Brusca, che però nella datazione degli eventi rettificata rispetto alle sue prime dichiarazioni, colloca pur sempre lo stop a giugno) e dare ordine ai suoi uomini di attivarsi per eseguire l’attentato a Borsellino nel giro di pochi giorni.
Lo stesso Riina avrebbe infatti confermato, in alcune delle conversazioni, intercettate a sua insaputa, con il codetenuto Lo Russo, che la strage fu studiata alla giornata, e attuata, nella sua concreta esecuzione — poiché la condanna a morte di Borsellino risaliva invece a diverso tempo prima — nel giro di pochi giorni. […] Ma che la strage Borsellino possa essere stata decisa, organizzata e attuata nel volgere di pochi giorni e a seguito di un evento imprevisto quale la sollecitazione al dialogo pervenuta a Riina proprio in quei giorni, attraverso il canale Ciancimino-Cinà, e proveniente da quelli che lo stesso Riina aveva motivo di credere fossero emissari di organi di governo, o rappresentanti dello Stato appare frutto di una chiara forzatura di tutti i dati disponibili. L’operazione via D’Amelio ha inizio alla fine di giugno ‘92, nel senso che a quella data è già in itinere, con l’incarico a Spatuzza di rubare la Fiat 126 da utilizzare come autobomba: e ciò significa che era stata già stabilita questa modalità di esecuzione, e, d’altra parte, erano già disponibili sia i telecomandi necessari per comandare l’ordigno a distanza (Biondino aveva provveduto a procurare cinque coppie di telecomandi e Ferrante ne aveva sentito parlare fin da marzo) sia l’esplosivo, che era stata “lavorato” (da Spatuzza) insieme a quello utilizzato per la strage di Capaci. D’altra parte, volendo prestare fede al racconto di Brusca, nella versione rettificata, lo stop al progetto già in fase avanzata di uccidere Mannino gli sarebbe stato impartito nel mese di giugno (e dobbiamo fare uno sforzo per sorvolare, come s’è visto, sul persistente contrasto con la narrazione di La Barbera e sulla diversa datazione del “fermo” indicata dallo stesso Brusca nelle sue prime dichiarazioni). E sempre alla fine di giugno lo stesso Cancemi — che neppure il giudice di prime cure si sente tuttavia di poter assumere come riscontro rassicurante all’attendibilità della ricostruzione che si ricaverebbe dal racconto di Brusca — colloca l’episodio della riunione a casa di Guddo in cui Riina avrebbe manifestato, parlandone con il fido Raffaele Ganci, la fretta di procedere all’eliminazione del dott. Borsellino. (E per inciso, se si prestasse fede alle rivelazioni di Cancemi, se ne dovrebbe inferire una traiettoria ricostruttiva degli eventi che condurrebbe molto lontano dall’ipotesi che la fretta di Riina traesse origine dall’essere venuto a conoscenza della “trattativa”, o meglio della proposta di trattativa, perché la lettura che ne offre lo stesso Cancemi è tutt’altra).

Si può comunque affermare che Riina al più tardi nell’ultima decade di giugno abbia dato disco verde all’esecuzione della decisione – già adottata peraltro diversi prima — di uccidere il magistrato che dopo Falcone era il simbolo della Lotta alla mafia e ne aveva preso anche in tale veste il testimone.

La “sollecitazione” del Ros

Ma se così è, il collegamento che si vorrebbe contestare con la sollecitazione al dialogo rivolta dai carabinieri del Ros ai vertici mafiosi per il tramite di Ciancimino, anche prescindere dalle legittime perplessità suscitate dalle ondivaghe datazioni di Giovanni Brusca, non appare compatibile con i tempi di svolgimento dei contatti instaurati, prima dal solo De Donno e poi dal De Donno insieme a Mori, con l’ex sindaco di Palermo. Non parliamo ovviamente dei tempi descritti dai due ex ufficiali del Ros (e tanto meno della datazione di Ciancimino che sarebbe troppo spostata in avanti, a dire degli stessi ex ufficiali odierni imputati, laddove afferma di avere deciso solo dopo la strage di via D’Amelio di accettare la richiesta del capitano De Donno di incontrarlo; e di avere successivamente incontrato anche il colonnello Mori), che sono molto lontani da uno svolgimento conforme a quello che si vorrebbe — in sentenza — asseverare. Ma non si può nascondere — come si vedrà in proseguo – che la stessa testimonianza della Ferraro non consente di dare per provato che a cavallo del 23 giugno 1992 il capitano De Donno avesse già incontrato Ciancimino, e non fosse piuttosto in procinto di incontrarlo proprio in quei giorni. E tanto meno può inferirsene la prova che vi fosse stato già un primo incontro di Mori con Ciancimino. Parimenti deve dirsi per la testimonianza di Fernanda Contri: la sua impressione che gli incontri di Mori con Ciancimino fossero un’iniziativa in fieri può lasciare il tempo che trova, come semplice impressione personale. Ma è certo che lo stesso Mori nel fargliene cenno, le fece intendere che si trattasse di un approccio preliminare, senza nulla di definito e men che meno con dei primi risultati concreti. E quindi, in quell’ultima decade del mese di giugno cui, come s’è visto, risale l’inizio dell’iter esecutivo della strage, l’interlocuzione dei carabinieri con Ciancimino, ammesso che fosse a sua volta iniziata, doveva essere ancora in una fase embrionale, tanto da potersi escludere che i carabinieri avessero già scoperto le carte e detto chiaramente a Ciancimino che volevano che si facesse da tramite con i vertici di Cosa nostra per sondarne la disponibilità ad allacciare un dialogo per far cessare le stragi. E tanto meno può credersi che Ciancimino avesse avuto già il tempo di informarne prima il Cinà, e attraverso quest’ultimo — che, non va dimenticato, in un primo momento non si prestò a fare da tramite come da lui stesso ammesso, salvo poi ripensarvi (come sostiene Vito Ciancimino, che parla al riguardo di un ritorno di fiamma delle persone a cui si era rivolto e che inizialmente avrebbero irriso alla sua richiesta).

 

 

La Fiat 126 utilizzata nell’attentato di Via D’Amelio è un elemento chiave nelle indagini sulla strage in cui perse la vita il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta il 19 luglio 1992. Ecco alcune informazioni rilevanti:

  • La Fiat 126 era imbottita di circa 90 chilogrammi di esplosivo del tipo Semtex-H, una miscela di PETN, tritolo e T4, e fu fatta esplodere tramite telecomando.
  • Inizialmente, due pregiudicati, Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino, si autoaccusarono del furto della vettura utilizzata nell’attentato. Questa circostanza venne confermata da Francesco Andriotta, che aveva riferito di aver ricevuto confidenze da Scarantino mentre erano compagni di cella.
  • Scarantino dichiarò di aver ricevuto l’incarico del furto della Fiat 126 dal suo cognato Salvatore Profeta, un mafioso della Guadagna, e di aver portato l’auto rubata nell’officina di Giuseppe Orofino, dove venne preparata l’autobomba.
  • Tuttavia, nel giugno 2008, Gaspare Spatuzza, un ex mafioso di Brancaccio, iniziò a collaborare con la giustizia e smentì la versione fornita da Scarantino e Candura, dichiarando di aver compiuto lui il furto dell’auto la notte dell’8 luglio 1992.

l’ALBERO BORSELLINO in via D’Amelio – come raggiungerlo


Via Mariano D’Amelio