Il pm Maurizio Bonaccorso ha depositato una relazione di un sopralluogo effettuata nel mese di giugno del ’94 da Vincenzo Scarantino al quale avrebbe preso parte un agente di polizia, sempre della Squadra mobile, indagato dalla procura di Caltanissetta per false dichiarazioni al tribunale dopo il processo di primo grado.
La relazione è stata trovata durante il trasloco degli uffici della Mobile di Palermo per dei lavori di ristrutturazione.
31.10.2023 Depistaggio Borsellino, Pg: “Apporto decisivo 007”
Parla di “apporto decisivo dei Servizi segreti” nel depistaggio sulla strage di via D’Amelio, ma anche del ruolo che il Sisde “ha svolto in tutti questi anni”. Arrivando a definire “il personale” dei “Servizi segreti” “il vero convitato di pietra di questo processo”.
Il sostituto procuratore generale di Caltanissetta Gaetano Bono non usa giri di parole nel suo intervento alla prima udienza del processo sul depistaggio sulle indagini sulla strage costata la vita, il 19 luglio del 1992, al giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
Alla sbarra, ancora una volta, i tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Tutti accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra.
Nella sentenza di primo grado, emessa il 12 luglio del 2022, era caduta l’aggravante mafiosa per due dei tre poliziotti imputati del processo. Per Bo e Mattei scattò quindi la prescrizione, mentre Michele Ribaudo era stato assolto.
Sono tutti presenti, i poliziotti, seduti uno accanto all’altro sulla panca accanto all’ingresso dell’aula angusta, troppo piccola per contenere tutti i legali e i rappresentanti dell’accusa.
“Quindi, anche gli odierni imputati, hanno agito sotto la gestione La Barbera”, l’ex Questore di Palermo nel frattempo deceduto ndr, che guidava il ‘Gruppo Falcone e Borsellino’.
Per il giovane pg “non si può escludere il ruolo che il Sisde ha avuto negli anni”. E aggiunge: “Dopo 31 anni ci sono ancora zone d’ombra sulla strage di via D’Amelio e questo processo cercherà di dipanare alcune di queste zone d’ombra”.
In prima fila, sul banco dell’accusa c’è anche il neo Procuratore generale di Caltanissetta Fabio D’Anna, insieme con il sostituto pg Antonino Patti e il pm Maurizio Bonaccorso, applicato dalla Procura per questo processo, che ha presentato l’accusa in primo grado, dopo l’addio di Stefano Luciani e Gabriele Paci, andati rispettivamente a Roma e Trapani.
In aula anche due delle parti civili del processo di primo grado, Gaetano Murana e Giuseppe La Mattina, ingiustamente condannati all’ergastolo, dopo le accuse false dell’ex pentito Vincenzo Scarantino.
Assenti, invece, i figli del giudice Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta.
All’inizio dell’udienza la difesa del poliziotto Mario Bo ha depositato presso la Corte nuovi documenti con la richiesta di rinnovamento dell’istruttoria dibattimentale.
“Si tratta, in particolare, di motivi aggiunti depositati il 21 settembre, con nota del Ministero dell’Interno, quale prova sopravvenuta e un secondo deposito, avvenuto il 13 ottobre 2023, per l’acquisizione di due note della Dia di Caltanissetta”, spiega il Presidente della Corte d’appello Giovambattista Tona.
Nel corso dell’udienza, il pm Bonaccorso ha chiesto alla Corte la deposizione del Presidente dei gip del Tribunale di Palermo Alfredo Montalto.
Dovrebbe essere ascoltato in quanto l’8 settembre del 1992 aveva interrogato Salvatore Candura, dopo l’arresto.
Candura è l’ex pentito che si autoaccusò del furto della 126 utilizzata come autobomba per la strage di via d’Amelio.
Dopo essere stato arrestato il 5 settembre del ’92 per violenza sessuale -accusa dalla quale venne poi assolto- assieme a Roberto e a Luciano Valenti, zio e nipote, mentre era in cella con quest’ultimo, si autoaccusò del furto dell’utilitaria.
Alla moglie però avrebbe detto di essere innocente, ”di non aver commesso alcuna violenza sessuale che era solo una scusa e che non sapeva niente della macchina”.
In un secondo momento confidò alla donna anche di essere stato costretto ad autoaccusarsi di quel furto. Bonaccorso ha chiesto anche l’audizione dell’avvocato Giuseppe Gerbino, allora difensore di Candura e dell’ex questore Vincenzo Ricciardi.
Nel corso dell’udienza ha preso la parola anche l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, nonché marito di Lucia Borsellino, figlia maggiore del giudice.
“Questo è un processo che ha un rischio grossissimo di prescrizione.
La famiglia Borsellino, che io rappresento, e noi chiediamo che questo processo abbia un percorso il più possibile veloce, perché non accetteremmo il rischio di una prescrizione. Ecco perché chiediamo alla Corte d’Appello di dare al processo una corsia preferenziale assoluta”.
Immediata la replica dell’avvocato Giuseppe Panepinto, legale di Mario Bo: “Gli unici danneggiati dal processo allo stato sono gli imputati, che senza la prescrizione, avrebbero avuto una assoluzione completa”.
Il pm Maurizio Bonaccorso ha depositato, sempre oggi, una relazione di un sopralluogo effettuata nel mese di giugno del ’94 da Vincenzo Scarantino al quale avrebbe preso parte un agente di polizia, sempre della Squadra mobile, indagato dalla procura di Caltanissetta per false dichiarazioni al tribunale dopo il processo di primo grado.
La relazione è stata trovata durante il trasloco degli uffici della Mobile di Palermo per dei lavori di ristrutturazione.
Al termine di una camera di consiglio, il Presidente Giovambattista Tona ha accolto un termine di difesa richiesto dai legali fissando un rinvio al prossimo 28 novembre.
La Corte ha sospeso i termini di prescrizione per una settimana, dal 21 al 28 novembre, perché un difensore è imputato in altro procedimento.
Il Presidente della Corte d’Appello Giovambattista Tona ha, infine, reso noto il calendario delle successive udienze.
Che si terranno il 5 dicembre, il 12 dicembre e il 19 dicembre. (dall’inviata Elvira Terranova ADNKRONOS)
31.10.2023 Depistaggio Borsellino: legale famiglia, ‘rischio prescrizione, serve corsia preferenziale’
“Questo è un processo che ha un rischio grossissimo di prescrizione. La famiglia Borsellino che io rappresento, e io, chiediamo che questo processo abbia un percorso il più possibile veloce perché non accetteremmo il rischio di una prescrizione. Ecco perché chiediamo alla Corte d’Appello di dare al processo una corsia preferenziale assoluta”.
E’ il monito dell’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, nella prima udienza del processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Trizzino è anche il marito di Lucia Borsellino, figlia maggiore del giudice. “Gli unici danneggiato dal processo allo stato sono gli imputati, che senza la prescrizione, avrebbero avuto una assoluzione completa”, ha replicato l’avvocato Giuseppe Seminara, legale di Mario, Bo, uno dei tre poliziotti imputati. Imputati i tre poliziotti accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Nella sentenza di primo grado, emessa il 12 luglio del 2022, era caduta l’aggravante mafiosa per due dei tre poliziotti imputati del processo depistaggio Borsellino sono stati prescritti i reati per Mario Bo e Fabrizio Mattei, mentre Michele Ribaudo era stato assolto. I poliziotti tre sono presenti in aula, accompagnati dai loro legali.
31.10.2023 Depistaggio Borsellino: processo rinviato al 28 novembre, la parola alla difesa
Il processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio è stato rinviato al prossimo 28 novembre per lasciare la parola alla difesa dei tre poliziotti imputati, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei.
Il Presidente della Corte d’Appello Giovambattista Tona ha inoltre reso noto il calendario delle successive udienze. Che si terranno il 5 dicembre, il 12 dicembre e il 19 dicembre, sempre alle ore 15.30.
31.10.2023 Depistaggio Borsellino: Pg Bono, ‘Sisde convitato pietra processo, non si può escludere suo ruolo’
“Il vero convitato di pietra di questo processo è il personale dei servizi segreti”.
Lo ha detto il sostituto procuratore generale di Caltanissetta Gaetano Bono, nel suo intervento alla prima udienza del processo d’appello per il depistaggio sulla strage di via D’Amelio.
Imputati sono tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei.
“Tutte le condotte sono state commesse con l’apporto decisivo dei Servizi segreti”, dice ancora il magistrato, che rappresenta l’accusa.
“Quindi, anche gli odierni imputati, hanno agito sotto la gestione La Barbera (ex Questore di Palermo nel frattempo deceduto ndr) – prosegue Gaetano Bono –Non si può escludere il ruolo che il Sisde ha avuto negli anni”.
E aggiunge: “Dopo 31 anni ci sono ancora zone d’ombra sulla strage di via D’Amelio e questo processo cercherà di dipanare alcune di queste zone d’ombra”. 31 ottobre, 2023 • AdnKronos
Al via il processo d’ appello sul “più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana”.
L’ennesimo processo per tentare di fare luce su quanto accadde alle 16.58 di 31 anni fa ma soprattutto nelle ore a seguire. Cinque processi in trentuno anni, che diventano quattordici se si contano anche gli appelli e le decisioni della Corte di Cassazione. Oltre trenta giudici si sono espressi su quanto avvenuto in via D’Amelio.
Al via davanti alla Corte d’Appello di Caltanissetta, il processo di secondo grado del cosiddetto depistaggio sulle indagini sulla strage di via D’Amelio, in cui furono uccisi, il 19 luglio del 1992, il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
Davanti alla Corte nissena si ritroveranno nuovamente alla sbarra i tre poliziotti accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra.
A rappresentare l’accusa sarà il neo Procuratore generale Fabio D’Anna con i sostituti procuratori generali Antonino Patti e Gaetano Bono.
Sarà applicato dalla Procura anche il pm Maurizio Bonaccorso, che ha rappresentato l’accusa in primo grado, dopo l’addio di Stefano Luciani e Gabriele Paci, andati rispettivamente a Roma e Trapani.
Nella sentenza di primo grado, emessa il 12 luglio del 2022, era caduta l’aggravante mafiosa per due dei tre poliziottiimputati del processo depistaggio Borsellino: prescritti i reati per Mario Bo e Fabrizio Mattei, mentre Michele Ribaudo era stato assolto.
Il poliziotto Ribaudo era stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”.
Erano tutti accusati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. E, in particolare, per aver contribuito a “vestire il pupo”, ovvero a “costruire” il falso pentito Vincenzo Scarantino.
Per Bo il procuratore Salvatore De Luca e i sostituti Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso avevano chiesto 11 anni e 10 mesi di carcere, per gli altri due imputati 9 anni e mezzo.
L’ennesimo processo per tentare di fare luce su quanto accadde alle 16.58 di 31 anni fa ma soprattutto nelle ore a seguire.
Cinque processi in trentuno anni, che diventano quattordici se si contano anche gli appelli e le decisioni della Corte di Cassazione.
Oltre trenta giudici si sono espressi su quanto avvenuto in via D’Amelio.
Sono state emesse condanne, anche all’ergastolo, assoluzioni, e c’è stata una revisione per delle condanne a vita inflitte ad innocenti che nulla c’entravano con la strage in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
A cambiare le sorti dei processo sulla strage di via D’Amelio è stato il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza che ha iniziato a raccontare particolari sull’attentato e a dire, con forza, che Vincenzo Scarantino aveva raccontato ai magistrati solo fandonie.
Perché “non poteva sapere nulla di quella strage”.
Sono state passate così al setaccio le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza. Che ha raccontato tanti dettagli, negli anni tutti ritenuti veritieri dai giudici.
I magistrati e gli investigatori della Dia di Caltanissetta iniziarono così a conoscere i retroscena della strage Borsellino, organizzata dal clan mafioso di Brancaccio, diretto dai fratelli Graviano.
Ma con un mistero: chi era l’uomo che il giorno prima della strage avrebbe partecipato alle operazioni di caricamento dell’esplosivo sulla 126, in un garage di via Villasevaglios, a Palermo?
Spatuzza ha sempre detto di non conoscerlo. Forse appartiene, pensano i magistrati, ai servizi segreti. A confermare le parole di Spatuzza sugli esecutori della strage di via D’Amelio è la confessione di chi si era accreditato come collaboratore di giustizia attendibile, depistando le indagini sull’eccidio del 19 luglio 1992.
Soltanto nel 2017, con l’esito del processo Borsellino quater primo grado e quello del processo di revisione, si è conseguita la certezza della “inattendibilità inconfutabile ed irreversibile” di Scarantino, di Andriotta e degli altri collaboratori a loro legati.
Dunque l’incontestabile falsità delle rispettive propalazioni.
La Corte di Cassazione nel processo Borsellino quater scriveva: “La strage di via d’Amelio rappresenta indubbiamente un tragico delitto di mafia, dovuto a una ben precisa strategia del terrore adottata da Cosa Nostra, in quanto stretta dalla paura e da fondati timori per la sua sopravvivenza a causa della risposta giudiziaria data dallo Stato attraverso il ‘maxiprocesso’, potendo le emergenze probatorie relative a quelle ‘zone d’ombra’ indurre, al più, a ritenere che possano esservi stati anche altri soggetti, o gruppi di potere, interessati alla eliminazione del magistrato e degli uomini della sua scorta”.
La Cassazione ha così confermato le condanne all’ergastolo per i boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, condannando per calunnia i falsi collaboratori di giustizia Calogero Pulci e Francesco Andriotta (per quest’ultimo con un lieve sconto di pena di 4 mesi) confermando la sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta nel novembre 2019. Nel luglio 2022 è arrivato il quattordicesimo giudizio.
Sul “più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana”.
Nelle motivazioni, i giudici di primo grado hanno ribadito che “non è stata Cosa nostra a fare sparire, dopo la strage di via D’Amelio, l’agenda rossa di Paolo Borsellino”.
Mentre la Procura di Caltanissetta, guidata da Salvatore De Luca, nei motivi di appello, firmati con il pm Maurizio Bonaccorso, ha sottolineato che “Il movente della sottrazione di un reperto così importante” come l’agenda rossa di Paolo Borsellino “da parte di soggetti che per funzioni svolte erano legittimati ad intervenire e operare sul luogo della strage e quindi esterni alla consorteria mafiosa, non può essere altro che quello di sviare le indagini, nel senso di impedire che le investigazioni potessero fuoriuscire dal perimetro delimitato dalla matrice esclusivamente mafiosa dell’attentato di via D’Amelio”.
“I comportamenti tenuti dal dirigente della Squadra mobile” Arnaldo La Barbera “risultano eccessivamente sospetti e inducono ragionevolmente a ipotizzare un ruolo del dottor La Barbera per la sottrazione dell’agenda rossa.
Se realmente la spinta psicologica del dottor La Barbera nell’azione illecita che ha portato alla creazione di tre falsi collaboratori di giustizia – hanno spiegato i pm – fosse stata soltanto quella di ‘potere mantenere e accrescere la propria posizione all’interno della Polizia di Stato’, come ritiene il Tribunale, allora si sarebbe dovuto assistere a iniziative e comportamenti totalmente diversi, con sforzi investigativi orientati a cercare di fare luce anche sul mistero dell’agenda rossa”.
Per la Procura di Caltanissetta “la chiave di lettura alle incomprensibili condotte e reazioni del dottor La Barbera su questa specifica vicenda allora non può essere altra che quella del mantenimento delle indagini all’interno del ‘perimetro’ mafioso della strage”.
Nei motivi di appello del processo depistaggio Borsellino De Luca e il pm Maurizio Bonaccorso hanno poi scritto: “Singolari anomalie in occasione di alcune telefonate effettuate dal falso pentito Vincenzo Scarantino mentre era a San Bartolomeo al Mare dopo avere collaborato con la giustizia”.
E ancora: “A fronte di circa 280 eventi telefonici verso utenze in uso ai familiari e al difensore di Scarantino non vi sono state anomalie nel funzionamento del registratore”, invece “in occasione di due chiamate verso il numero 091-210101” cioè il telefono fisso della Questura di Palermo “si sono verificate due anomalie”.
Così come anomalie si sarebbero riscontrate nella chiamate verso la pm Annamaria Palma.
I pm hanno parlato di “imbarazzante comportamento processuale” degli “appartenenti del gruppo Falcone e Borsellino” in aula.
“Le risultanze probatorie del processo depistaggio Borsellino, hanno scritto nei motivi di appello, “hanno consentito di acclarare con assoluta certezza episodi di indottrinamento posti in essere da Arnaldo La Barbera e da Mario Bo.
In occasione di ciascuno dei due interrogatori del 16 settembre e del 28 ottobre 1994 – hanno detto ancora i pm – risultano documentati accessi del dottor Bo nel carcere di Palliano, dove era detenuto il collaboratore Andriotta”.
E hanno ribadito “il numero elevato di colloqui investigativi con Scarantino” che “evidenziano un costante modus operandi del dottor La Barbera e dei suoi fedelissimi funzionari caratterizzati dall’uso dei colloqui investigativi e degli accessi in strutture carcerarie per istruire i falsi collaboratori”.
Per i giudici di primo grado “a meno di non ipotizzare scenari inverosimili di appartenenti a Cosa nostra che si aggirano in mezzo a decine di appartenenti alle forze dell’ordine, può ritenersi certo che la sparizione dell’agenda rossa non è riconducibile a una attività materiale di Cosa nostra”.
E hanno aggiunto: “Ne discendono due ulteriori logiche conseguenze.
In primo luogo, l’appartenenza istituzionale di chi ebbe a sottrarre materialmente l’agenda.
Gli elementi in capo non consentono l’esatta individuazione della persona fisica che procedette all’asportazione dell’agenda senza cadere nella pletora delle alternative logicamente possibili ma è indubbio che può essersi trattato solo di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e per conoscenze pregresse sapeva cosa era necessario e opportuno sottrarre”.
“In secondo luogo – hanno scritto ancora i giudici del processo depistaggio – un intervento così invasivo, tempestivo e purtroppo efficace nell’eliminazione di un elemento probatorio così importante per ricostruire – non oggi ma nel 1992 – il movente dell’eccidio di via D’Amelio certifica la necessità per soggetti esterni a Cosa nostra di intervenire per ‘alterare’ il quadro delle investigazioni evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage e, in ultima analisi, disvelare il loro coinvolgimento nella strage di via d’Amelio”.
Per i giudici di Caltanissetta, “movente della strage e finalità criminale di tutte le iniziative volte allo sviamento delle indagini su via D’Amelio sono intimamente connesse”.
Nelle quasi 1.500 pagine delle motivazioni, i giudici hanno anche parlato poi “della presenza di altri soggetti o gruppi di potere co-interessati all’eliminazione di Paolo Borsellino con un ruolo nella ideazione, preparazione ed esecuzione della strage di via D’Amelio”.
E, nel frattempo, Lucia Borsellino e il marito, l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia del giudice nei processi, sono stati auditi dalla Commissione nazionale antimafia sul depistaggio.
Parole dure, quelle della figlia maggiore del magistrato.
Ha parlato di “buio istituzionale”, dei “silenzi” e dei “non ricordo” che “non ci hanno consentito di risalire alla verità, ai veri responsabili del depistaggio, ai mandanti occulti e ai responsabili morali della strage” di via D’Amelio, e non ha mancato di fare riferimento alla sparizione dell’agenda rossa di suo padre, il giudice Paolo Borsellino, esprimendo anche delle perplessità sul fatto che non sia stato compiuto “nell’immediatezza dell’attentato l’esame del dna sulla borsa di mio padre”.
Per Lucia Borsellino, quella che è stata consegnata alla sua famiglia, dopo inchieste e processi, diventa così solo “la verità della menzogna”.
“Qualunque ricostruzione dei fatti non può prescindere da riscontri documentali e testimonianze raccolti con assoluto rigore metodologico: è passato troppo tempo – ha affermato Lucia Borsellino– da quella strage, per cui non siamo più disposti ad accettare verità che non rispondano a questo rigore.
Una ricostruzione anche solo sul piano storico delle vicende che hanno caratterizzato prima e dopo la strage di via D’Amelio sconta degli ostacoli che, a nostro avviso, per il tempo trascorso sono divenuti ormai insormontabili, ma – ha aggiunto – spero di essere smentita”.
Mentre per l’avvocato Trizzino “Occorre andare a cercare dentro l’ufficio della Procura di Palermo per vedere se allora si posero in atto condotte che in qualche modo favorirono quel processo di isolamento, delegittimazione, indicazione come target e obiettivo di Paolo Borsellino, che sono quelle condizioni essenziali che hanno sempre proceduto gli omicidi eccellenti a Palermo”.
Parlando delle dichiarazioni rese al Csm dai magistrati della Procura di Palermo subito dopo la strage e “rimasti nei cassetti per 30 anni”, Trizzino ha sottolineato: “È un dolore incommensurabile avere scoperto che già dal luglio del 1992 esistevano dei verbali e delle audizioni dei magistrati della Procura di Palermo in cui vuoi per la vicinanza rispetto alla strage o vuoi perché in quella Procura vi era un malessere che covava da tempo, i magistrati di allora furono sinceri e privi di qualunque freno inibitorio nel racconto delle dinamiche che, messe in atto dal procuratore Pietro Giammanco, resero di fatto impossibile la vita di un magistrato valoroso come Borsellino”. E da domani, si ricomincia. (di Elvira Terranova ADNKRONOS 30.10.2023)
“PROCESSO DEPISTAGGIO” – Primo grado
VIA D’AMELIO – Processi conclusi
- BORSELLINO UNO
- BORSELLINO BIS
- BORSELLINO TER
- BORSELLINO QUATER
- SPARIZIONE DELL’AGENDA ROSSA
- CANALE ED ALTRI
- TRATTATIVA STATO-MAFIA
- ’NDRANGHETA STRAGISTA
- PROCESSO A MATTEO MESSINA DENARO PER STRAGI DI CAPACI E VIA D’AMELIO
- PROCEDIMENTO CONTRO PM ANNAMARIA PALMA E CARMELO PETRALIA
- DEPISTAGGIO INDAGINI VIA D’AMELIO
BORSELLINO e il DEPISTAGGIO
“Su strage convergenze interessi Cosa nostra e ambienti esterni” – Sentenza processo depistaggio depositate le motivazioni
Due prescrizioni e un assoluzione. È quanto ha deciso il tribunale di Caltanissetta sulle accuse contestate a tre poliziotti erano accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992 nella quale morirono il giudice Paolo Borsellino e alcuni agenti della scorta. Via D’Amelio, sentenza di primo grado sul depistaggio Assolti e prescritti i poliziotti che gestirono Scarantino. Alla sbarra Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei.
I tre furono tra i componenti del gruppo guidato da Arnaldo La Barbera e accusati di avere inquinato l’attività investigativa.
VIA D’AMELIO – Sentenza processo depistaggio: depositate le motivazioni
TESTO DELLE MOTIVAZIONI
5.4.2023 Depositate le MOTIVAZIONI –
Borsellino, giudici: “Su strage convergenze interessi Cosa nostra e ambienti esterni”
Non è stata Cosa nostra a fare sparire, dopo la strage di via D’Amelio, l’agenda rossa di Paolo Borsellino. A metterlo nero su bianco sono i giudici del processo per il depistaggio sulle indagini della strage che uccise, il 19 luglio del 1992, il giudice Borsellino e cinque agenti della scorta, nelle motivazioni della sentenza del processo a carico di tre poliziotti, depositate oggi in cancelleria.
Ecco cosa scrivono i giudici nelle motivazioni visionate dall’Adnkronos: “A meno di non ipotizzare scenari inverosimili di appartenenti a Cosa nostra che si aggirano in mezzo a decine di appartenenti alle forze dell’ordine, può ritenersi certo che la sparizione dell’agenda rossa non è riconducibile a una attività materiale di Cosa nostra”. “Ne discendono due ulteriori logiche conseguenze – scrivono i giudici – In primo luogo, l’appartenenza istituzionale di chi ebbe a sottrarre materialmente l’agenda.
Gli elementi in capo non consentono l’esatta individuazione della persona fisica che procedette all’asportazione dell’agenda senza cadere nella pletora delle alternative logicamente possibili ma è indubbio che può essersi trattato solo di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e per conoscenze pregresse sapeva cosa era necessario e opportuno sottrarre”
“In secondo luogo – dicono i giudici del processo depistaggio – un intervento così invasivo, tempestivo e purtroppo efficace nell’eliminazione di un elemento probatorio così importante per ricostruire – non oggi ma nel 1992 – il movente dell’eccidio di via D’Amelio certifica la necessità per soggetti esterni a Cosa nostra di intervenire per ‘alterare’ il quadro delle investigazioni evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage e, in ultima analisi, disvelare il loro coinvolgimento nella strage di via d’Amelio”.
Per i giudici di Caltanissetta, “movente della strage e finalità criminale di tutte le iniziative volte allo sviamento delle indagini su via D’Amelio sono intimamente connesse”.
Nelle quasi 1.500 pagine delle motivazioni, i giudici parlano poi “della presenza di altri soggetti o gruppi di potere co-interessati all’eliminazione di Paolo Borsellino con un ruolo nella ideazione, preparazione ed esecuzione della strage di via D’Amelio”.
I giudici di Caltanissetta parlano di “plurimi elementi che inducono a ritenere prospettabile un ruolo, tanto nella fase ideativa, quando nella esecutiva, svolto da soggetti estranei a Cosa nostra nella strage, vero e proprio punto di svolta nella realizzazione della strategia stragista dei primi anni Novanta”. “Anche senza volere ritenere scontato che si possa parlare di ‘accelerazione’, più o meno repentina, non è aleatorio sostenere che la tempistica della strage di voa D’Amelio rappresenta un elemento di anomalia rispetto al tradizionale contegno di Cosa nostra volto,di regola, a diluire nel tempo le azioni delittuose nel caso di bersagli istituzionali e ciò nella logica di frenare l’attività di reazione delle istituzioni”.
I giudici di Caltanissetta, nelle motivazioni della sentenza del processo sul depistaggio, visionate dall’Adnkronos, parlano poi “di convergenze di interessi nella ideazione della strage di via D’Amelio tra Cosa nostra ed ambienti esterni ad essa”. “Oltre ai tempi della strage, oggettivamente ‘distonici’ rispetto all’interesse di Cosa nostra, vi sono ulteriori elementi che inducono a ritenere asfittica la tesi che si arresta al riconoscimento della ‘paternità mafiosa’ dell’attentato di via D’Amelio e della sua riconducibilità alla strategia stragista deliberata da Cosa nostra, prima di tutto, come ‘risposta’ all’esito del maxiprocesso e ‘resa dei conti’ con i suoi nemici storici”.
Occhi puntati soprattutto sulla sparizione dell’agenda rossa del giudici. “In sintesi – dicono i giudici – alla luce delle testimonianze raccolte non sono emersi nuovi elementi che consentano di dipanare l’intricata vicenda relativa alla scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino”. E bacchettano alcuni testimoni sentiti nel corso degli anni che “consegnano in quadro per niente chiaro, fatto di insanabili contraddizioni tra le varie versioni, tra l’altro più volte rivedute e stravolte, rese dai protagonisti della vicenda che non permettono una lettura certa degli eventi aumentando la fallacia di qualsivoglia conclusione tratta sulla sola base della combinazione tra le varie testimonianze”.
In particolare, i giudici nisseni se la prendono con l’ex giudice Giuseppe Ayala.
“Pur comprendendone lo stato emotivo profondamente alterato appare inspiegabile il numero di mutamenti di versione rese nel corso degli anni in ordine alla medesima vicenda”.
Per i giudici “restano insondabili le ragioni di un numero così elevato di cambi di versione, peraltro su plurime circostanze del narrato”. Secondo i giudici nisseni, Paolo Borsellino, “si sentì tradito da un soggetto inserito in un contesto istituzionale”. (di Elvira Terranova ADNKRONOS)
19.5.2023 Depistaggio Borsellino: “Hanno coperto i mandanti esterni”
La SENTENZA
12.7.2022 AUDIO UDIENZA E LETTURA SENTENZA
VIA D’AMELIO processo depistaggio: DUE PRESCRITTI UNO ASSOLTO
Il processo, iniziato nel novembre 2018, si e’ protratto per 85 udienze. L’accusa, rappresentata dai pm Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso aveva chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi di carcere per Mario Bo e a 9 anni e 6 mesi ciascuno per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
Nell’ambito della sentenza arrivata dopo quattro anni con la quale viene assolto un imputato e dichiarato prescritte le accuse per altri due, il tribunale ha disposto la trasmissione alla Procura delle deposizioni di quattro poliziotti, ex colleghi di Bò e Mattei, che non avrebbero detto tutta la verità in aula: sotto accusa ci sono ora Maurizio Zerilli, Angelo Tedesco, Vincenzo Maniscaldi e Giuseppe Di Gangi.
L’aveva detto il pm Stefano Luciani nella requisitoria: «In questo processo, ci sono stati testimoni convocati dall’accusa che non hanno fatto onore alla divisa che indossano. Si sono trasformati in testi della difesa in maniera grossolana».
È stato il processo di tanti silenzi, di molte bugie e dei non ricordo. È stato il processo in cui la famiglia Borsellino ha chiesto per l’ennesima volta di sapere la verità. Che resta ancora lontana.
Audio delle deposizioni di :
RASSEGNA STAMPA
VIDEO
AUDIO ultime udienze
REQUISITORIA PUBBLICO MINISTERO
Chiesta la condanna dei tre imputati (Leggi tutto)
CONCLUSIONI DELLE PARTI CIVILI
- Depistaggio Borsellino, l’accusa delle parti civili: “Dietro le stragi 007 deviati”
- Strage via D’Amelio, la famiglia Borsellino contro i pm: «Senza di loro depistaggio non poteva esserci»
- 17 maggio 2022
- 18 maggio 2022
- 20 maggio 2022
GLI IMPUTATI
CONCLUSIONI DELLE DIFESE
REPLICHE – pm Luciani, Avv.ti Trizzino, Scozzola e Panepinto
REPLICHE E LETTURA SENTENZA
PROCESSO DEPISTAGGIO – Audio udienze precedenti
Dopo trent’anni cinque processi, tre appelli e tre sentenze di Cassazione non è stata restituita completa e convincente verità e giustizia alle vittime e ai loro familiari. La sentenza del Borsellino Quater al contrario, ha clamorosamente certificato che l’inquinamento delle indagini su Via D’Amelio è avvenuto attraverso “Uno dei più grandi depistaggi della storia italiana”.
L’udienza preliminare del 5 novembre 2018 relativa al processo depistaggio, rappresentò il primo passo di un ennesimo percorso destinato a durare ancora a lungo.
Parallelamente, vennero avviati anche i lavori della Commissione Speciale Antimafia della Regione Sicilia e della Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura. Commissioni che furono entrambe istituite su richiesta di Fiammetta Borsellino nel tentativo di ottenere nuovi e decisivi “pezzi di verità”.
TRE i POLIZIOTTI. Perchè? Per conto di chi? Chi ne era a conoscenza?
Quali le eventuali coperture che hanno consentito un mistero che dura da ben 30 anni? Sono solo alcune delle domande che attendono un credibile risposta da oltre un quarto di secolo.
Due dei tre poliziotti indagati intervistati dal quotidiano La Stampa, dichiararono l’assenza di verità nascoste.
12.7.2022 – Depistaggio, quattordici processi in 30 anni ma la verità è lontana
(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – Cinque processi in trent’anni, che diventano quattordici se si contano anche gli appelli e le decisioni della Corte di Cassazione. Oltre trenta giudici si sono espressi su quanto accaduto alle 16.58 del 19 luglio del 1992 in via D’Amelio. Sono state emesse condanne, anche all’ergastolo, assoluzioni, e pure une revisione per delle condanne a vita a innocenti che nulla c’entravano con la strage in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Una stori lunga, langhissima. Il primo processo, il cosiddetto ‘Borsellino Uno’, ha preso il via derivato dalle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino. A presiedere la Corte d’assise di Caltanissetta era il giudice Renato Di Natale.
Il 26 gennaio 1996 fu emessa la sentenza con la condannato all’ergastolo per Salvatore Profeta, Giuseppe Orofino e Pietro Scotto e a 18 anni di reclusione per il collaboratore Vincenzo Scarantino, come richiesta della Procura.
In secondo grado, la Corte d’appello, presieduta da Giovanni Marletta, aveva confermato l’ergastolo solo per Profeta, invece Orofino venne condannato per favoreggiamento a nove anni e Scotto fuo assolto. Nel frattempo Vincenzo Scarantino, l’ex picciotto della Guadagna, aveva già ritrattato le sue accuse. La corte d’assise presieduta da Pietro Falcone, il 13 febbraio 1999, ha emesso la condanna a sette ergastoli (Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia, Salvatore Biondino e Gaetano Scotto) e altre dieci condanne per associazioneg mafiosa. Passa qualche anno e inizia il processo ‘Borsellino bis’.
Il 18 marzo 2002 la corte d’appello, presieduta da Francesco Caruso, ha modificato la sentenza, aumentando gli ergastoli così da portarli a tredici (Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Lorenzo Tinnirello, Gaetano Murana e Giuseppe Urso). Dopo la clamorosa ritrattazione, Scarantino ha deciso di tornare sui propri passi. E in parte venne creduto dai giudici. E’ la sentenza che venne poi travolta dalla revisione. Nel frattempo, la Procura generale aveva portato in tribunale anche un nuovo collaboratore di giustizia, Calogero Pulci.
La sentenza del 18 marzo 2002 aveva restituito piena credibilità all’intero racconto del ‘picciotto’ della Guadagna rivalutandone integralmente le dichiarazioni.
Il 9 dicembre 1999 si concluse il processo Borsellino Ter in primo grado. Il collegio presieduto da Carmelo Zuccaro, l’attuale Procuratore capo di Catania, aveva inflitto 17 ergastoli e 175 anni di reclusione, dieci le assoluzioni. Condanne a vita per Giuseppe Madonia, Nitto Santapaola, Giuseppe Farinella, Raffaele Ganci, Antonino Giuffrè, Filippo Graviano, Michelangelo La Barbera, Giuseppe e Salvatore Montalto, Pippo Calò, Bernardo Brusca, Matteo Motisi, Bernardo Provenzano, Salvatore Biondo, Cristoforo Cannella, Domenico e Stefano Ganci. Ventisei anni per il pentito Salvatore Cancemi, 23 per Giovanbattista Ferrante, 16 a Giovanni Brusca.
In appello, per Cancemi e Ferrante era arrivato uno sconto di pena: la corte presieduta da Giacomo Bodero Maccabeo gli aveva riconosciuto l’attenuante prevista per i collaboratori di giustizia.
Ma dei 22 ergastoli chiesti dalla procura generale, ne furono decretati solo 1.. Non confermati quelli inflitti in primo grado per Stefano Ganci (condannato a 30 anni), per Giuseppe Farinella, Giuseppe Madonia, Nitto Santapaola, Nino Giuffrè, Salvatore Montalto e Matteo Motisi, condannati a 20 anni. La sentenza della Suprema Corte, di annullamento con rinvio di alcune posizioni, ha determinato un nuovo processo d’appello, a Catania.
Nel frattempo irrompe sulla scena un nuovo collaboratore di giustizia. Il suo nome è Gaspare Spatuzza. Inizia a raccontare particolari sulla strage di via D’Amelio e a dire, con forza, che Vincenzo Scarantino ha detto solo fandonie. Perché non poteva sapere nulla di quella strage. Inizia dunque una nuova fase di indagini per la Procura nissena. La Procura di Caltanissetta, diretta da Sergio Lari, ha chiesto, dunque, l’emissione di quattro ordinanze di custodia cautelare, riguardanti il capomafia pluriergastolano Salvino Madonia perché accusato di aver partecipato nel dicembre 1991 alla riunione della Cupola in cui si decise l’avvio della strategia stragista, ma anche i boss Vittorio Tutino e Salvatore Vitale.
Il primo rubò con Spatuzza la 126 per la strage; il secondo abitava nel palazzo della madre di Borsellino, in via d’Amelio, e avrebbe fatto da talpa. Un quarto provvedimento ha riguardato il pentito Calogero Pulci, l’unico in libertà. Per lui l’accusa era di calunnia aggravata, perché con le sue dichiarazioni avrebbe finito per fare da riscontro al falso pentito Vincenzo Scarantino.
Vengono passate al setaccio le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza. Che racconta tanti dettagli, tutti veritieri. I magistrati e gli investigatori della Dia di Caltanissetta iniziano a conoscere i retroscena della strage Borsellino, organizzata dal clan mafioso di Brancaccio, diretto dai fratelli Graviano. Ma resta un mistero: chi era l’uomo che il giorno prima della strage avrebbe partecipato alle operazioni di caricamento dell’esplosivo sulla 126, in un garage di via Villasevaglios, a Palermo? Spatuzza ha sempre detto di non conoscerlo. Forse appartiene, pensano i magistrati, ai servizi segreti.
A confermare le parole di Spatuzza sugli esecutori della strage di via d’Amelio è la confessione di chi si era accreditato come collaboratore di giustizia attendibile, depistando le indagini sull’eccidio del 19 luglio 1992.
Soltanto nel 2017, con l’esito del processo Borsellino quater primo grado (sentenza del 20 aprile) e quello del processo di revisione (sentenza del 13 luglio), si è conseguita la certezza della inattendibilità inconfutabile ed irreversibile di Scarantino, di Andriotta e degli altri collaboratori a loro legati. Dunque l’incontestabile falsità delle rispettive propalazioni. A mettere una pietra tombale sui processi sulla strage di via D’Amelio è la Corte di Cassazione, che nel processo Borsellino quater scrive: “La strage di via d’Amelio rappresenta indubbiamente un tragico delitto di mafia, dovuto a una ben precisa strategia del terrore adottata da Cosa Nostra, in quanto stretta dalla paura e da fondati timori per la sua sopravvivenza a causa della risposta giudiziaria data dallo Stato attraverso il ‘maxiprocesso’, potendo le emergenze probatorie relative a quelle ‘zone d’ombra’ – in parte già acquisite in altri processi, in parte disvelate dal presente processo – indurre, al più, a ritenere che possano esservi stati anche altri soggetti, o gruppi di potere, interessati alla eliminazione del magistrato e degli uomini della sua scorta”.
La Cassazione ha così confermato le condanne all’ergastolo per i boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, condannando per calunnia i falsi collaboratori di giustizia Calogero Pulci e Francesco Andriotta (per quest’ultimo con un lieve sconto di pena di 4 mesi) confermando la sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta nel novembre 2019. Per i giudici della quinta sezione penale della Cassazione i “nuovi scenari” che le vicende oggetto del processo “trattativa Stato- mafia” avrebbero disvelato, non incidono in maniera sostanziale sul processo. Gli ermellini infatti hanno sottolineato la “sostanziale neutralità” ai fini dell’accertamento oggetto del presente processo nella ricostruzione della sentenza impugnata (e della conforme sentenza di primo grado). E oggi arriva un altro giudizio, il quattordicesimo. Sul “più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana”. In attesa di capire quanto accadde quel pomeriggio del 19 luglio di 30 anni fa.
La famiglia Borsellino: “Diritto alla verità”. Il 12 luglio Camera consiglio
(dall’inviata Elvira Terranova) – Non risparmia attacchi ai magistrati Antonino Di Matteo, oggi consigliere al Csm, e ad Annamaria Palma, oggi Avvocato generale di Palermo … SEGUE
28.6.2022 Borsellino, processo depistaggio: il 12 luglio i giudici in camera di consiglio
Il 12 luglio i giudici del processo sul depistaggio sulla strage Borsellino si ritireranno in camera di consiglio per emettere la sentenza. Lo ha annunciato a fine udienza il presidente Francesco D’Arrigo. SEGUE
29.6.2022 Le pesanti accusate L’avvocato di Borsellino contro Di Matteo:
“Ha difeso il depistaggio di Scarantino screditando Spatuzza – Al processo che è in corso a Caltanissetta sul depistaggio delle indagini sull’omicidio di Paolo Borsellino e la strage della sua scorta, ieri ha parlato l’avvocato della famiglia Borsellino, Fabio Trizzino, e ha sparato bordate pesantissime contro alcuni Pm, e in particolare contro Nino Di Matteo, cioè il protagonista – seppure sconfitto – del processo sulla cosiddetta trattativa stato mafia, che dopo molti anni di tribolazioni – soprattutto per il generale Mario Mori, risultato poi del tutto innocente – si è concluso qualche mese SEGUE Piero Sansonetti Il Riformista 29.6.2022.
28.6.2022 (Adnkronos) “BORSELLINO: LEGALE FAMIGLIA, ‘PM DI MATTEO E PALMA HANNO DIFESO PERVICACEMENTE DEPISTAGGIO’– “La corte d’assise del processo Borsellino Ter, quando parla del collaboratore Vincenzo Scarantino è tranciante e dice che “è da prendere e buttare”. Ora io mi chiedo: i pm a cui queste parole vengono rivolte sono i pm Annamaria Palma e Antonino Di Matteo, gli stessi pm del Borsellino bis. SEGUE
9.6.2022 Il legale degli agenti: “Chiedere la condanna è inaccettabile” “Questi imputati hanno un passato, hanno una dignità, sono poliziotti, hanno una loro storia che comprende tantissime azioni svolte per contrastare la criminalità organizzata. Michele Ribaudo era un agente. Noi stiamo parlando di un soggetto che nella scala gerarchica della polizia è l’ultimo gradino assoluto e un altro soggetto che stava un gradino appena sopra, un vicesovrintendente, cioè Fabrizio Mattei. Chiederne la condanna è una cosa inaccettabile”. SEGUE
6.5.2022 Depistaggio Borsellino: Difesa BO: “Scarantino calunniatore”, a luglio la sentenza Il falso pentito Vincenzo Scarantino è “un calunniatore” che “non è mai stato indottrinato” né “dai poliziotti né dai magistrati”. E’ ancora l’ex pentito, che aveva SEGUE
1.6.2022 – Difesa BO – A depistare furono tre falsi pentiti. Poliziotti innocenti“ PROCESSO DEPISTAGGIO” – Udienza 1 giugno 2022 Dall’intervento dell’avvocato Giuseppe Panepinto difensore di Mario Bo, imputato insieme a Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo
- Sulla strage di via D’Amelio c’è stato “il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana”, come dice anche la Cassazione, “ma non ad opera dei tre poliziotti imputati o di magistrati e uomini dello Stato”, perché gli autori del depistaggio sarebbero stati, secondo la difesa, “tre balordi”, cioè i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta.
- Qui tutti i testimoni dell’accusa sono inattendibili e inaffidabili
- Un “castello di menzogne”, “crollato miseramente”, con “ricostruzioni romanzesche” e “accuse infamanti” e “illazioni” della Procura. Il tutto “senza alcuna prova. Zero”. “Menzogne” che hanno provocato “schizzi di fango” e “una gogna mediatica” per i tre imputati, nel processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio ma anche “sui magistrati” che indagarono subito dopo la morte di Paolo Borsellino.
- Scarantino è sicuramente un sempliciotto, per essere generosi. Scarantino non fu indottrinato ma fece le sue dichiarazioni sulla base di notizie giornalistiche, informazioni che sentiva negli ambienti carcerari.
30.5.2022 Borsellino, processo per il depistaggio contro tre poliziotti. Il pm: “Sono passati 30 anni, se c’è stato altro ditelo” Il processo a coloro che sono ritenuti tra gli autori … SEGUE
30.5.2022 – Depistaggio Borsellino, poliziotto imputato: “Sempre fatto il mio dovere” “Sono assolutamente estraneo ai fatti che mi vengono contestati in questo processo, che già mi ha procurato non pochi danni fisici e morali. La mia unica responsabilità… SEGUE
27.4.2022 – Via D’Amelio, l’accusa dei pm: “Sulla strage il depistaggio dei poliziotti”. Fiammetta Borsellino: “Omertà di Stato” «Vincenzo Scarantino subì un pressing asfissiante — ripete il pubblico ministero Stefano Luciani — venne anche torturato nel carcere di Pianosa. SEGUE
26.4.2022 Depistaggio Borsellino, l’atto d’accusa dei pm: “Alcuni poliziotti hanno mentito in aula, Scarantino subì torture in carcere” Nell’aula bunker di Caltanissetta, l’inizio della requisitoria nel processo in cui sono imputati tre poliziotti. “Il più grande depistaggio della storia d’Italia” “In questo processo, ci sono stati testimoni chiamati dalla procura, appartenenti al gruppo d’indagine sulle stragi Falcone e Borsellino, che non hanno fatto onore alla divisa che indossano ... SEGUE
A distanza di 27 anni dall’attentato in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, la Procura di Messina, ha iscritto nel registro degli indagati, con l’accusa di calunnia aggravata, due magistrati che indagarono sulle stragi del 1992: Annamaria Palma, Avvocato generale dello Stato, e Carmelo Petralia, Procuratore aggiunto di Catania. Secondo il Procuratore di Messina, Maurizio de Lucia, che coordina l’inchiesta, i due magistrati, in concorso con i tre poliziotti sotto processo a Caltanissetta, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, avrebbero depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio.
Un depistaggio che i giudici della sentenza del processo Borsellino quater definirono “clamoroso”. Ai magistrati è stato notificato dalla Procura di Messina, che indaga in quanto è coinvolto un magistrato in servizio a Catania, un avviso di accertamenti tecnici irripetibili. Fiammetta Borsellino che ha partecipato a numerose udienze del processo sul depistaggio sulle indagini sulla strage del 19 luglio 1992, dove si è costituita parte civile, più volte ha lamentato il comportamento dei magistrati che indagarono sull’attentato. “Mio padre è stato lasciato solo, sia da vivo che da morto.
C’è stata una responsabilità collettiva da parte di magistrati che nei primi anni dopo la strage – ha sempre ripetuto Fiammetta – hanno sbagliato a Caltanissetta con comportamenti contra legem e che ad oggi non sono mai stati perseguiti né da un punto di vista giudiziario né disciplinare”
Indagati anche due PM: rassegna stampa e news
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- Depistaggio Borsellino, la rabbia di Fiammetta: “Nessuno Palermo taday
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- Depistaggio via D’Amelio, Nino Di Matteo: “Non fu solo strage Il fatto Quotidiano
- Figlia Borsellino, non c’è volontà aiuto – Sicilia – ANSA.it
- Via D’Amelio, Fiammetta Borsellino: “Dai pm verità taciuta – Blog Sicilia
- Accertamenti medico legali di un massacro
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- I sospetti del Sovrintentendente di polizia
- I tormenti del pentito Santino Di Matteo
- Il capitano con la borsa in mano
- Il magistrato nel mirino dei Madonia
- Il misterioso “Rutilius”
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- Il ricordo di Giuseppe Ayala
- Il ruolo di Vittorio Tutino
- Il testimone “imbeccato” a dovere
- La “collaborazione” di Francesco Andriotta
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- Le calunnie del “pupo”
- Le indagini affidate agli 007
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- Tutti i piani per uccidere Paolo Borsellino
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- Un misterioso uomo che parla di una borsa
- Un summit che non c’è mai stato
- Va in scena il grande depistaggio
FIAMMETTA BORSELLINO: “Il colossale depistaggio che ha tenuto lontana la verità sulla morte di mio padre e dei suoi agenti di scorta continua a non avere responsabili”.
La procura di Messina ha chiesto di archiviare l’inchiesta sui due ex pm di Caltanissetta Palma e Petralia accusati di aver costruito ad arte il falso pentito Scarantino. La figlia del magistrato ucciso nel 1992 con la scorta: “Impossibile che i poliziotti abbiano fatto tutto da soli”
I Graviano e le accuse di Fabio Tranchina
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DEPISTAGGIO: chiesto il rinvio a giudizio per tre poliziotti
Nel corso dell’udienza preliminare la procura di Caltanisseta ha chiesto l’applicazione del comma 1 dell’articolo 416 bis per il tre poliziotti accusati di concorso in calunnia per avere creato il falso pentito Vincenzo Scarantino
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VIA D’AMELIO: 25 ANNI DOPO SANTINO ANCORA MIUTO STA’
I «FALSI» PENTITI – I tre poliziotti facevano parte del pool investigativo che indagò sulle stragi mafiose del ‘92 di via D’Amelio e di Capaci. Il pool era coordinato da Arnaldo La Barbera (morto nel 2002). Gli investigatori, secondo l’accusa, LEGGI TUTTO
Il Ministero della Giustizia si costituirà parte civile al processo contro i presunti depistatori delle indagini sulla strage di via D’Amelio.
PROCESSO AI POLIZIOTTI ACCUSATI DI DEPISTAGGIO. Fiammetta Borsellino a Caltanisetta – Presso il tribunale di Caltanisetta, lunedì 20 Settembre è stata avviata la procedura l’udienza preliminare riguardante i tre poliziotti rinviati a giudizio per depistaggio nelle indagini su Via D’Amelio. Presenti il giornalista Salvo Palazzolo, recentemente denunciato, indagato e perquisito e Fiammetta Borsellino, che da tempo chiede a gran voce che sia fatta piena luce su mandanti, esecutori e condotta delle Forze dell’Ordine e della magistratura inquirente incaricati dell’inchiesta.
RINVIATA AL 28 SETTEMBRE, l’udienza preliminare nei confronti di tre poliziotti accusati del depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio. Davanti al Gup sono comparsi il funzionario Mario Bo e i poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di calunnia in concorso. Per i tre, la procura nissena, ha contestato l’aggravante secondo la quale, con la loro condotta avrebbero favorito Cosa nostra.
Davanti al Gup sono comparsi il funzionario Mario Bo e i poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di calunnia in concorso. Per i tre, la procura nissena, ha contestato l’aggravante secondo la quale, con la loro condotta avrebbero favorito Cosa nostra. All’esterno… SEGUE
FIAMMETTA AVVICINA DUE IMPUTATI. LA FIGLIA MAGISTRATO APPROFITTA DI UNA PAUSA DELL’UDIENZA CALTANISSETTA In una pausa dell’udienza preliminare a Caltanissetta per il depistaggio … SEGUE
VIA D’AMELIO, I FIGLI DI BORSELLINO PARTE CIVILE CONTRO I TRE POLIZIOTTI ACCUSATI DEL DEPISTAGGIO L’atto d’accusa di Fiammetta: “Lo Stato non c’è, non si è costituito contro gli imputati”. Al via l’udienza preliminare al tribunale di Caltanissetta – Fiammetta Borsellino, la figlia di Paolo e Agnese, arriva di buon mattino al tribunale di Caltanissetta. Nell’aula intitolata a “Gilda Loforti” – una giudice coraggiosa stroncata da … LEGGI TUTTO
FIAMMETTA BORSELLINO, SOLIDALE CON LA PROCURA. La figlia del magistrato: “Difficile verità ma barlumi di luce. Sono qui in segno di solidarietà nei confronti di una Procura che si sta impegnando con tenacia a sciogliere un nodo enorme sulla mancata verità che riguarda la strage di via D’Amelio, un nodo compromesso quasi definitivamente dalle attività depistatorie”. Così Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Paolo, presente in Tribunale a Caltanissetta all’udienza preliminare con tre poliziotti accusati di avere imbeccato il falso pentito Vincenzo Scarantino. “Questa Procura a distanza di molti anni con enormi difficoltà sta cercando di fare luce su cose fatte da pm precedenti, perché questi poliziotti non hanno agito da soli, ma sotto la direzione, il controllo e la supervisione di magistrati e di pubblici ministeri”. “Ho fiducia – ha aggiunto – raggiungere una verità è difficile, ma sono convinta del percorso che può portare anche a fare barlumi di luce. E’ importante il segnale che si continui a lottare per esercitare un diritto sancito all’articolo 2 della Costituzione, il diritto alla verità”. ANSA
FAVA A CALTANISSETTA PER AVVIO PROCESSO SU DEPISTAGGIO “Sono qui per un atto di dovuta testimonianza. Sul depistaggio per la strage di via D’Amelio, che oggi conosce dopo 26 anni la prima pagina giudiziaria. La Commissione antimafia ha aperto una propria indagine e daremo il nostro contributo per contribuire a restituire verità sui fatti, sui silenzi, sulle responsabilità che abbiamo collezionato per oltre un quarto di secolo”. Lo ha dichiarato Claudio Fava, Presidente della Commissione regionale antimafia a Caltanissetta, dove stamani si è aperta l’udienza preliminare nei confronti di tre poliziotti accusati del depistaggio delle inchieste sulla strage del 19 luglio del 1992. Il presidente Fava ha anche partecipato al sit-in che si è tenuto fuori dal tribunale in solidarietà al giornalista Salvo Palazzolo cui, nei giorni scorsi, sono stati sequestrati telefoni, pc e altro materiale a causa di alcuni articoli scritti proprio sul depistaggio relativo alla strage di via D’Amelio.
FIAMMETTA BORSELLINO PARLA CON GLI IMPUTATI: “SIATE ONESTI“ Alla sbarra tre poliziotti, il funzionario Mario Bo’ e gli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di avere imbeccato il falso pentito Vincenzo Scarantino. La figlia del giudice: “Si spieghi cosa cosa è successo, quale era il clima, da chi probabilmente hanno ricevuto gli ordini”
DEPISTAGGIO VIA D’AMELIO. IL COMUNE DI PALERMO SARÀ PARTE CIVILE Il sindaco Leoluca Orlando ha dato mandato all’avvocatura comunale di procedere alla costituzione di Parte Civile nel processo che a Caltanissetta vede imputati alcuni agenti e funzionari di Polizia per il presunto depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio del luglio del 1992.
LE FALLE DELLA SICUREZZA E LA MANCATA PROTEZIONE DEL PROCURATORE
- 9.3.2022 Deposizione ex legale Scarantino: mai notato nulla di anomalo…
- 16.11.2021 – Ingroia: “Borsellino non si fidava di molti pm”/ “Mi disse ‘Manda tutti in ferie’ e…”
- 15.12.2021 Depistaggio Borsellino, Ingroia:
- 15.12.2021 – Strage via D’Amelio, Ingroia: ‘Borsellino cominciò a non fidarsi più’. Il processo si svolge a Caltanissetta. “
- 15.12.2021 – Depistaggio Borsellino, l’ex avvocato di Scarantino: “Pm sconcertati da ritrattazione”
- 15.12.2021 INGROIA, “PAOLO BORSELLINO NON SI FIDAVA DI MOLTI PM DELLA PROCURA DI PALERMO”
- 27.11.2021 Pignatone: “Nessun contrasto su mafia-appalti”
- 27.11.2021 – Scarpinato accusa i carabinieri del Ros
- 27.11.2021 – Scarpinato: “Falcone voleva indagare anche su Gladio”
- 26.11. 2021 “Paolo sapeva dell’archiviazione mafia-appalti”, Lo Forte si difende dalle accuse dei Borsellino le testimonianze al processo Depistaggio via D’Amelio L’avv. Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino
- In aula anche Pignatone: “nessun contrasto su mafia-appalti” Scarpinato “a insabbiare il dossier mafia-appalti fu il Ros” Oggi il magistrato Guido Lo Forte in aula si difende: “Non nascosi nulla, Borsellino sapeva”.“Gravi anomalie dei Ros su intercettazioni”
- 26.11.2021 L’OPINIONE DI MARTELLI, MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
- 17.9.2021 -“Scarantino nella stanza con Tinebra”, nuovi dettagli al processo Depistaggio Borsellino LA TESTIMONIANZA DI DOMENICO MILITELLO “Il 29 giugno del ’94 Vincenzo Scarantino
- 21.6.2021 – DEPISTAGGIO STRAGE BORSELLINO, IL DIRETTORE DEL CARCERE DI PIANOSA “NESSUN SOPRUSO A SCARANTINO”
- 14.5.2021 deposizione del luogotenente DIA: “Nessuno imboccava Scarantino”
- 24.3.2021 – Depistaggio Borsellino: giallo intercettazioni Scarantino, poliziotta ‘c’erano strane anomalie’
- 17.3.2021 Ombra dei servizi segreti sul depistaggio
- 17.3.2021 – Depistaggio Borsellino, il pentito e l’ombra dei servizi segreti
- 17.3.2021 DEPISTAGGIO VIA D’AMELIO, AL PROCESSO TENSIONI TRA PARTI CIVILI E POLIZIOTTO SANTORO
- 5.2.2021 Depistaggio strage via D’Amelio, il funzionario di polizia, “Non ho mai indagato né conosciuto Scarantino”
- 5.2.2021– Via D’Amelio, il poliziotto accusato del depistaggio in lacrime: “Non ho dato suggerimenti a Scarantino” Lacrime di «coccodrillo» sul sangue di via d’Amelio aspettando la prescrizione che incombe
- 18.12.2020 Depistaggio Via D’Amelio – Intervista completa all’Avv. Rosalba Di Gregorio
- 14.12.2020 Depistaggio via d’Amelio, Mancino e la reticenza dei ”non ricordo” L’avvocato Repici chiede la trasmissione in Procura del verbale della testimonianza dell’ex ministro.
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- FIAMMETTA BORSELLINO:”La verità verrà fuori se parlano loro” Al termine dell’udienza preliminare …
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- PARLA ANGELO MANGANO, il giornalista che per primo capì il depistaggio di Via D’Amelio…E’ stato sentito il 4 ottobre scorso dalla Commissione parlamentare antimafia regionale, il giornalista Angelo Mangano.
Nel corso dell’udienza preliminare la procura di Caltanisseta ha chiesto l’applicazione del comma 1 dell’articolo 416 bis per il tre poliziotti accusati di concorso in calunnia per avere creato il falso pentito Vincenzo Scarantino
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“13 domande di Fiammetta Borsellino alle Istituzioni
Sono passati 26 anni e ancora aspettiamo delle risposte da uomini delle istituzioni e non solo. Ci sono domande che non possono essere rimosse dall’indifferenza o da colpevoli disattenzioni”. Tra le domande poste dalla figlia del giudice, che proprio oggi, alle 14 verrà ascoltata dalla Commissione regionale antimafia all’Ars, la richiesta del perché, dopo la strage di Capaci, “le autorità locali non misero in atto le misure necessarie per proteggere mio padre”. Non solo. “Perché per una strage di così ampia portata fu prescelta una procura composta da magistrati che non avevano competenze”, chiede. “Oppure: “Perché via D’Amelio non fu preservata consentendo così la sottrazione dell’agenda rossa di mio padre?”. E ancora: “Perché nei 57 giorni fra Capaci e via D’Amelio i pm di Caltanissetta non convocarono mai mio padre?”. Poi domande anche sul pentito Scarantino (“perché i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni?”), sul mancato verbale di sopralluogo della Polizia con Scarantino “nel garage dove diceva di avere rubato la 126 poi trasformata in autobomba?”.
1.Perché le autorità locali e nazionali preposte alla sicurezza non misero in atto tutte le misure necessarie per proteggere mio padre, che dopo la morte di Falcone era diventato l’obiettivo numero uno di Cosa nostra?
2.Perché per una strage di così ampia portata fu prescelta una procura composta da magistrati che non avevano competenze in ambito di mafia? L’ufficio era composto dal procuratore capo Giovanni Tinebra, dai sostituti Carmelo Petralia, Annamaria Palma (dal luglio 1994) e Nino Di Matteo (dal novembre ’94).
3.Perché via D’Amelio, la scena della strage, non fu preservata consentendo così la sottrazione dell’agenda rossa di mio padre? E perché l’ex pm allora parlamentare Giuseppe Ayala, fra i primi a vedere la borsa, ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti?
4.Perché i pm di Caltanissetta non ritennero mai di interrogare il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, che non aveva informato mio padre della nota del Ros sul “tritolo arrivato in città” e gli aveva pure negato il coordinamento delle indagini su Palermo, cosa che concesse solo il giorno della strage, con una telefonata alle 7 del mattino?
5.Perché nei 57 giorni fra Capaci e via D’Amelio, i pm di Caltanissetta non convocarono mai mio padre, che aveva detto pubblicamente di avere cose importanti da riferire?
6.Cosa c’è ancora negli archivi del vecchio Sisde, il servizio segreto, sul falso pentito Scarantino (indicato dall’intelligence come vicino ad esponenti mafiosi) e sul suo suggeritore, l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera?
7.Perché i pm di Caltanissetta non depositarono nel primo processo il confronto fatto tre mesi prima fra il falso pentito Scarantino e i veri collaboratori di giustizia (Cancemi, Di Matteo e La Barbera) che lo smentivano? Il confronto fu depositato due anni più tardi, nel 1997, solo dopo una battaglia dei difensori degli imputati.
8.Perché i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni di Scarantino e non fecero mai il confronto tra i falsi pentiti dell’inchiesta (Scarantino, Candura e Andriotta), dai cui interrogatori si evinceva un progressivo aggiustamento delle dichiarazioni, in modo da farle convergere verso l’unica versione?
9.Perché la pm Ilda Boccassini (che partecipò alle prime indagini, fra il giugno e l’ottobre 1994), firmataria insieme al pm Sajeva di due durissime lettere nelle quali prendeva le distanze dai colleghi che continuavano a credere a Scarantino, autorizzò la polizia a fare dieci colloqui investigativi con Scarantino dopo l’inizio della sua collaborazione con la giustizia?
10.Perché non fu mai fatto un verbale del sopralluogo della polizia con Scarantino nel garage dove diceva di aver rubato la 126 poi trasformata in autobomba? Perché i pm non ne fecero mai richiesta? E perché nessun magistrato ritenne di presenziare al sopralluogo?
11.Chi è davvero responsabile dei verbali con a margine delle annotazioni a penna consegnati dall’ispettore Mattei a Scarantino? Il poliziotto ha dichiarato che l’unico scopo era quello di aiutarlo a ripassare: com’è possibile che fino alla Cassazione i giudici abbiano ritenuto plausibile questa giustificazione?
12.Il 26 luglio 1995 Scarantino ritrattava le sue dichiarazioni con un’intervista a Studio Aperto. Prima ancora che l’intervista andasse in onda, i pm Palma e Petralia annunciavano già alle agenzie di stampa la ritrattazione della ritrattazione di Scarantino, anticipando il contenuto del verbale fatto quella sera col falso pentito. Come facevano a prevederlo?
13.Perché Scarantino non venne affidato al servizio centrale di protezione, ma al gruppo diretto da La Barbera, senza alcuna richiesta e autorizzazione da parte della magistratura competente?
Borsellino Quater – dalla Sentenza … IL DEPISTAGGIO DI STATO
(…) Va quindi sottolineata la particolare pervicacia e continuità dell’attività di determinazione dello Scarantino a rendere false dichiarazioni accusatorie, con la elaborazione di una trama complessa che riuscì a trarre in inganno anche i giudici dei primi due processi sulla strage di Via D’Amelio, così producendo drammatiche conseguenze sulla libertà e sulla vita delle persone incolpate.Poiché l’attività di determinazione così accertata ha consentito di realizzare uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana, è lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno criminoso, con specifico riferimento:
– alla copertura della presenza di fonti rimaste occulte, che viene evidenziatadalla trasmissione ai finti collaboratori di giustizia di informazioni estranee alloro patrimonio conoscitivo ed in seguito rivelatesi oggettivamente rispondentialla realtà;
– ai collegamenti con la sottrazione dell’agenda rossa che Paolo Borsellino aveva con sé al momento dell’attentato e che conteneva una serie di appunti difondamentale rilevanza per la ricostruzione dell’attività da lui svolta nell’ultimo periodo della sua vita, dedicato ad una serie di indagini di estrema delicatezza e alla ricerca della verità sulla strage di Capaci;
– alla eventuale finalità di occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra “Cosa Nostra” e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del Magistrato.In proposito, va osservato che un collegamento tra il depistaggio e l’occultamento dell’agenda rossa di Paolo Borsellino è sicuramente desumibile dalla identità di taluno dei protagonisti di entrambe le vicende: si è già sottolineato il ruolo fondamentale assunto, nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia, dal Dott. Arnaldo La Barbera, il quale è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa, come è evidenziato dalla sua reazione – connotata da una inaudita aggressività – nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre. L’indagine sulle reali finalità del depistaggio non può, poi, prescindere dallaconsiderazione sia delle dichiarazioni di Antonino Giuffrè (il quale ha riferito che, prima di passare all’attuazione della strategia stragista, erano stati effettuati “sondaggi” con “persone importanti” appartenenti al mondo economico e politico, ha precisato che questi “sondaggi” si fondavano sulla “pericolosità” di determinati soggetti non solo per l’organizzazione mafiosa ma anche per i suoi legami con ambienti imprenditoriali e politici interessati a convivere e a “fare affari” con essa, ha ricondotto a tale contesto l’isolamento – anche nell’ambito giudiziario – che portò all’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e ha chiarito che la stessa strategia terroristica di Salvatore Riina traeva la sua forza dalla previsione – rivelatasi poi infondata – che passato il periodo delle stragi si sarebbe ritornati alla “normalità”), sia delle circostanze confidate da Paolo Borsellino alle persone e lui più vicine nel periodo che precedette la strage di Via D’Amelio. Vanno richiamati, al riguardo, gli elementi probatori già analizzati nel capitolo VI. Un particolare rilievo assumono, in questo contesto, la convinzione, espressa da Paolo Borsellinoalla moglie Agnese Piraino proprio il giorno prima della strage di Via D’Amelio, «chenon sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, (…) ma sarebbero stati i suoi colleghi edaltri a permettere che ciò potesse accadere», e la drammatica percezione, da parte del Magistrato, dell’esistenza di un «colloquio tra la mafia e parti infedeli dello stato». Occorre, altresì, tenere conto degli approfonditi rilievi formulati nella sentenza n. 23/1999 emessa il 9 dicembre 1999 dalla Corte di Assise di Caltanissetta nel processo n. 29/97 R.G.C.Ass. (c.d. “Borsellino ter”) secondo cui «risulta quantomeno provato che la morte di Paolo BORSELLINO non era stata voluta solo per finalità di vendetta e di cautela preventiva, bensì anche per esercitare – cumulando i suoi effetti con quelli degli altri delitti eccellenti – una forte pressione sulla compagine governativa che aveva attuato una linea politica di contrasto alla mafiapiù intensa che in passato ed indurre coloro che si fossero mostrati disponibili tra i possibili referenti a farsi avanti per trattare un mutamento di quella linea politica. (…) E proprio per agevolare la creazione di nuovi contatti politici occorreva eliminare chi come BORSELLINOavrebbe scoraggiato qualsiasi tentativo diapproccio con COSA NOSTRA e di arretramento nell’attività di contrasto alla mafia, levandosi a denunciare anche pubblicamente, dall’alto del suo prestigioprofessionale e della nobiltà del suo impegno civico, ogni cedimento dello Stato o di sue componenti politiche». Questa Corte ritiene quindi doveroso, in considerazione di quanto è stato accertato sull’attività di determinazione realizzata nei confronti dello Scarantino, del complesso contesto in cui essa viene a collocarsi, e delle ulteriori condotte delittuose emerse nel corso dell’istruttoria dibattimentale (tra cui proprio quella della sottrazione dell’agenda rossa), di disporre la trasmissione al Pubblico ministero, per le eventuali determinazioni di sua competenza, dei verbali di tutte le udienze dibattimentali, le quali possono contenere elementi rilevanti per la difficile ma fondamentale opera di ricerca della verità nella quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta è impegnata
13.7.2017 I PROCESSI E I DEPISTAGGI – Per la strage di via D’Amelio l’iter giudiziario è stato lunghissimo. Confessioni, falsi pentiti, condanne poi ribaltate. Le rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza hanno riaperto le indagini sull’attentato scoprendo il depistaggio che era costato la condanna all’ergastolo a sette innocenti poi scagionati. SEGUE
19.7.1994 Conferenza stampa Tinebra e Boccassini su ruolo di Scarantino
Speciale DOMANI – Blog Mafie
COMMISSIONE ANTIMAFIA ARS – IL DEPISTAGGIO SU VIA D’AMELIO