VINCENZO SCARANTINO: “L’orsacchiotto con le batterie”

 

“Un orsacchiotto con le batterie”. Così si è definito in un processo VINCENZO SCARANTINO, il falso pentito costruito a tavolino che si era accusato di aver preso parte all’organizzazione della strage di Via D’Amelio perché  torturato e manovrato.

 

“Sono stato usato come un orsacchiotto con le batterie costretto con le minacce a prendere in giro lo Stato, in galera ho mangiato anche i vermi, le guardie mi dicevano che mentre ero in carcere mia moglie andava a battere, e facevano allusioni al suicidio di Gioè”, dirà anni dopo, raccontando per l’ennesima volta le violenze subite.


 

CRONOLOGIA di UN DEPISTAGGIO 

➡️  dall’ARRESTO ad oggi 


 

19.10.1994 – Così BOCCASSINI e SAIEVA denunciarono il depistaggio.


SCARANTINO interrogato da BOCCASSINI, PETRALIA e LA BARBERA.

 

  • Interrogatorio del 24.6.1994 davanti al Pubblico Ministero rappresentato dalla dott.ssa Ilda BOCCASSINI e dal dott. Carmelo PETRALIA e al dirigente della Polizia di Stato dott. Arnaldo LA BARBERA.  24 giugno 1994
  • Interrogatorio del 29.6.1994 davanti al Pubblico Ministero rappresentato dal dott. Giovanni TINEBRA, dott.ssa Ilda BOCCASSINI, dott. Carmelo PETRALIA, dott. Roberto SAIEVA, nonché al dott. Arnaldo LA BARBERA.
  • Interrogatorio del 15.7.1994 davanti al Pubblico Ministero rappresentato dalla dott.ssa Ilda BOCCASSINI e al dott. Arnaldo LA BARBERA.



Deposizioni nei processi di Vincenzo Scarantino AUDIO



VERBALI non depositati interrogatori a Scarantino

21 ottobre 1994  SCARANTINO: «Facevo morire nell’acido i nemici di Cosa Nostra».



Vincenzo Scarantino
è una figura controversa nella storia giudiziaria italiana, noto per il suo ruolo come falso collaboratore di giustizia nei processi legati alla Strage di Via D’Amelio.

📌 Viene  arrestato il 26  settembre 1992 con l’accusa di concorso in strage e di furto aggravato in relazione all’attentato che uccise il giudice Paolo Borsellino. Le sue dichiarazioni hanno un impatto significativo sui processi “Borsellino uno” e “Borsellino bis”, che portano a condanne definitive all’ergastolo di persone innocenti e sono considerate parte di uno dei più gravi depistaggi nella storia giudiziaria del paese.
📌 Il 29 settembre 1992 viene presentato all’opinione pubblica il “colpevole” della strage: ha 27 anni, si chiama VINCENZO SCARANTINO ed è accusato da un pregiudicato, tale SALVATORE CANDURA arrestato  un mese prima per violenza sessuale.
Il procuratore di Caltanissetta e titolare dell’inchiesta GIOVANNI TINEBRA annuncia l’arresto dello “stragista” esaltando il “lavoro meticoloso e di gruppo, con la partecipazione di magistrati, tecnici e investigatori, che hanno lavorato in sintonia, a conseguire un risultato importante quale l’arresto di uno degli esecutori della strage di via D’Amelio”.
Semianalfabeta e balordo di borgata dal bassissimo lignaggio criminale, seppur imparentato con un mafioso della Guadagna, Scarantino é dedito allo spaccio di droga, al furto di auto ed al contrabbando di sigarette, attività che esercita con un banchetto nel suo quartiere. Un profilo che é tuttavia ritenuto sufficientemente idoneo per avvalorare una “verità” imbastita a tavolino.
Solo dopo molti anni, grazie alla testimonianza del collaboratore di giustizia GASPARE SPATUZZA si rivelerà invece un clamoroso falso in grado tuttavia di reggere nei tre gradi di giudizio e generare lacondanna di 11 persone di cui 7 all’ergastolo, nell’ambito dei processi Borsellino-uno e Borsellino-bis.
📌 Il 3 novembre 1993 Vincenzo Scarantino compare davanti ai giudici della quarta sezione del Tribunale di Palermo per rispondere dell’accusa di detenzione e spaccio di stupefacenti assieme al fratello Umberto.
Venti giorni dopo Scarantino, viene condannato a nove anni di carcere per detenzione di droga. E’ forse proprio questa pesante condanna a trasformare il piccolo delinquente di borgata Vincenzo Scarantino nel “superpentito”, testimone della strage di via D’Amelio. Il 20 dicembre Scarantino, già in carcere da più di un anno, comincia uno sciopero della fame.
📌 Il3 gennaio 1994 la procura di Caltanissetta chiede il rinvio a giudizio delle quattro persone a suo dire responsabili di avere partecipato alla strage di via D’Amelio: il presunto boss Salvatore Profeta, suo cognato Vincenzo Scarantino, Pietro Scotto e Vincenzo Orofino. A condurre l’indagine è stato Arnaldo La Barbera del Servizio Centrale Operativo della polizia, coordinata dal procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra e dai sostituti Paolo Giordano, Ilda Boccassini, Carmelo Petralia e Fausto Cardella.
Sei mesi dopo viene reso pubblico il “pentimento” di Vincenzo Scarantino. Un falso dopo l’altro che diventa verità.
📌 Il 24 giugno 1994 arriva la notizia del “pentimento” di Vincenzo Scarantino. Uno dei legali del neo “pentito”, l’avv. Paolo Petronio, denuncia: “L’atteggiamento a dir poco ambiguo, nonché di scarsa considerazione del ruolo del difensore. “I difensori di Scarantino non sono stati né avvisati né revocati in relazione all’inizio di una collaborazione del loro assistito ed il ricorso ad escamotage sleali ci danno la misura dell’esercizio di uno strapotere da parte degli organi inquirenti assolutamente inconcepibile in uno stato di diritto dove viene di fatto ipocritamente strombazzata una parità tra accusa e difesa in concreto inesistente. In tal senso eloquente è la circostanza che il difensore di Scarantino, giunto a Piombino sabato 9 luglio scorso per raggiungere Pianosa, si è visto negato l’imbarco per andare a conferire con il detenuto Scarantino, con la scusa che lo stesso era ‘applicato ad altra attività’ e pertanto non poteva incontrare il difensore. Ed ancora ieri l’altro difensore, avv. Mario Zito, ha potuto conferire regolarmente con Scarantino affrontando addirittura argomenti difensivi”. La nota del difensore così conclude: “La copertura dell’inizio dell’attività di collaborazione di Scarantino ci dà l’impressione di una strumentalizzazione della stessa nella misura in cui la si vuol rivelare soltanto in coincidenza con la data del 19 luglio, secondo anniversario della strage”.
📌Il 19 luglio 1994 la Procura di Caltanisetta (intervengono Tinebra e  Boccassini) convoca una conferenza stampa per “fare il punto sulle indagini e comunicare, il grande passo avanti nelle indagini sulla strage di Via D’Amelio: la collaborazione di Vincenzo Scarantino che a detta del Procuratore Tinebra é “uomo d’onore riservato” e non invece “uomo di manovalanza”(???).
📌 Il 4 ottobre 1994 inizia a Caltanisetta il primo processo per la strage.
📌 La sentenza arriverà il 27 gennaio del ‘96. Quella del processo d’Appello il 23 gennaio 1999 e della Cassazione il 18 dicembre 2000.  Al primo ne seguiranno altri tre ed uno dedicato a quello che è stato definito il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana. 

📌 Nonostante i dubbi, il 27 gennaio 1996 arriva la prima sentenza per la strage di via D’Amelio: ergastolo per Orofino, Scotto e Profeta. Vincenzo Scarantino viene condannato a 18 anni di reclusione. Con ordinanza separata, la Corte concede la scarcerazione di SCARANTINO, già da tempo detenuto in una struttura extra-carceraria, osservando che con “la sua scelta di collaborare ha rotto ogni legame con gli ambienti criminali”.
📌 Il 23 luglio 1994 a seguito delle polemiche sorte su un “pentimento” troppo annunciato, il procuratore di Caltanissetta Tinebra è costretto a precisare che “Scarantino non ha subito nessun tipo di violenza o di imposizione. Si è autonomamente deciso a collaborare e ciò ha fatto in maniera che ci ha pienamente convinti”. Intanto le dichiarazioni di Scarantino consentono l’emissione di 16 nuovi ordini di custodia cautelare per la strage di via D’Amelio
📌 Il 9 agosto 1994 nuovo intervento pubblico della procura di Caltanissetta, questa volta affidata al sostituto Carmelo Petralia che, sempre a proposito del “pentimento” di Scarantino, dice: “E’ una decisione che è andata maturando… di tanto in tanto tramite canali assolutamente legittimi ed istituzionali Scarantino chiedeva, per esempio, di essere interrogato dai magistrati della procura di Caltanissetta. Grazie all’uso dell’istituto del colloquio investigativo (…) Scarantino ha avuto un contatto con un ufficiale di polizia giudiziaria, Arnaldo La Barbera, ed ha potuto probabilmente maturare in modo più sereno il suo proposito di collaborare con la giustizia”.
📌 Il 30 settembre 1994  l’avv. Luigi Ligotti rinuncia alla difesa di Scarantino per non meglio precisate “ragioni di ordine processuale”.
📌 Il 12 ottobre 1994 BOCCASSINI e SIEVA sottoscriveranno una nota in cui dichiarano l’inattendibilità dello SCARANTINO.  Quella nota resta lettera morta e la “fabbrica” del pentito proseguirà fino alla sentenza definitiva della Cassazione.  
Anni dopo, sul tema, la procura di Caltanissetta sentirà ILDA BOCCASSINI, che dichiarerà: «non condividevo l’impostazione degli interrogatori e la relativa gestione dei collaboratori di giustizia».La prova regina del fatto che Vincenzo Scarantino era un mentitore era già nel suo pentimento, nel suo background criminale. Scarantino diceva cose assurde, raccontava ‘fregnacce’. “Il fatto che Scarantino mentisse in maniera grossolana – ha detto Boccassini alla Procura di Messina – era percepibile il primo o secondo interrogatorio. Tant’è che c’è stata per me l’esigenza, perché avevo capito che c’era un atteggiamento diverso da parte dei colleghi, e feci la prima relazione insieme a Roberto Saieva e fu portata dal mio collaboratore, che stava con me a Milano, nelle stanze di tutti i colleghi. Poi non l’hanno letta questo è un altro paio di maniche”.
Per il pubblico ministero ANNAMARIA  PALMA le ritrattazioni di Scarantino sono invece «opera della mafia».
📌 Il 20 ottobre 1994  cominciano a filtrare le prime dichiarazioni del neo “pentito” al sostituto Ilda Boccassini. “Mi sono macchiato di crimini orrendi e di orrendi omicidi...”, dice Scarantino. Nel ricostruire la sua storia criminale, Scarantino liquida l’immagine del piccolo malavitoso di borgata, dedito a furti d’auto ed al piccolo spaccio di droga, ma tuttavia buono d’animo, tanto da indossare il saio di una confraternita religiosa per seguire la statua del santo portato in processione. Al magistrato Scarantino dice di essere stato un “uomo d’onore riservato”, presenti suo cognato Salvatore Profeta, Pietro Aglieri e Carlo Greco. “Al termine della cerimonia – ricorda Scarantino – abbiamo mangiato e poi ci siamo baciati tutti, ed io diventai uomo d’onore riservato per non essere a occhio della polizia e degli altri uomini d’onore, tranne quelli della mia famiglia”. Invitato a parlare delle sue vittime, il “pentito” cita Benedetto Bonanno, 22 anni, ucciso con colpi di pistola il 24 marzo del 1988, del cui cadavere si disfece dandolo alle fiamme e poi i fratelli Santo e Luigi Lucera, di 54 e 44 anni: dice di averli sgozzati in una casa di campagna, a Santa Maria di Gesù. Ma anche i magistrati si accorgono che alcune “rivelazioni” di Scarantino sono in rotta di collisione con quelle di altri due “pentiti” di rango, Salvatore Cancemi e Gioacchino La Barbera, i quali hanno per altro ammesso le loro responsabilità per la strage di Capaci. Scarantino, ad esempio, sostiene, come testimone oculare, che la strage di via D’ Amelio venne decisa da Totò Riina nel corso di una riunione, tenuta nella villa di Giuseppe Calascibetta, alla quale intervennero anche La Barbera e Cancemi, i quali negano con decisione.

📌 È il 13 gennaio 1995 quando SCARANTINO viene messo a confronto con tre boss chiamati in causa dallo stesso falso pentito, secondo cui avrebbero partecipato a un summit per l’eliminazione di Paolo Borsellino. I tre lo smentiscono e dichiarano che lo SCARANTINO é «totalmente estraneo a Cosa Nostra». Il verbale d’esordio del “pentito” era stato firmato il 24 giugno del 1994, ossia sei mesi prima, e risulta già pieno di annotazioni a margine da parte del poliziotto incaricato della sua tutela, il quale dirà però di aver scritto sotto richiesta dello stesso Scarantino avendo il medesimo difficoltà a leggere i verbali.
📌 Il 24 gennaio 1995circola la notizia che Sacarantino ha provato ad accreditarsi come un “pentito” in grado di parlare anche dei politici, sostenendo che Cosa nostra forniva cocaina a Silvio Berlusconi, in quel momento solo ex presidente del Consiglio. Anzi dal verbale, datato 24 giugno 1994, appare chiaro che il nome di Berlusconi è stato tra i primi fatti. Scarantino sostiene di avere appreso dal boss Ignazio Pullarà che quest’ultimo ”mandava cocaina a Berlusconi’”. E poi aggiunge: “Berlusconi conosceva altri boss come Luciano Liggio” e inoltre “manda 50 milioni l’anno alla famiglia di Santa Maria di Gesù”. 
📌 Il 27 gennaio 1996 arriva la prima sentenza per la strage di via D’Amelio: ergastolo per Orofino, Scotto e Profeta. Il “pentito” Vincenzo Scarantino viene condannato a 18 anni di reclusione. Con ordinanza separata la Corte concede la scarcerazione di Scarantino, già da tempo detenuto in struttura extra carceraria, osservando che con “la sua scelta di collaborare ha rotto ogni legame con gli ambienti criminali”.  
📌 Il 24 maggio 1995 , Scarantino compare per la prima volta in corte d’Assise al primo processo per la strage di via D’Amelio in corso a Caltanissetta. Dice Scarantino: “Mi sono pentito un mese e mezzo dopo essere stato arrestato, nel settembre ’92, ma ho cominciato a collaborare solo nel giugno ’94. Avevo paura delle minacce di Profeta, e mi vergognavo anche del fatto che avrei dovuto dire a quei magistrati che avevo ucciso un loro collega. Di tutti gli omicidi che ho fatto quello di Borsellino è stato quello più brutto. Non sapevo però come fare, ho pure tentato il suicidio in carcere, prima cercando di impiccarmi e poi tagliandomi le vene. Ma dopo un colloquio con mia moglie mi decisi a parlare. Ero il guardaspalle di Salvatore Profeta e un giorno, tra la fine di giugno e inizio luglio del ’92, lo accompagnai ad una riunione in una villa ai Chiarelli, a Palermo. Io mi fermai fuori, insieme ad altre sei persone, ma dentro si tenne una riunione”. Scarantino, su invito del pubblico ministero, omette di dire i nomi dei partecipanti a questa riunione, come anche di altre persone con le quali era entrato in contatto nel corso della preparazione della strage. Poi aggiunge: “Non sentivamo di cosa si discutesse dentro, ma ad un certo punto parlarono di Borsellino, di Falcone e di esplosivo”. Al termine della riunione Profeta gli chiede di procurargli una macchina di piccola cilindrata. “A mia volta – dice Scarantino – chiesi a Salvatore Candura di procurarmi la macchina, ed una decina di giorni prima del 19 luglio il Caldura mi portò una Fiat 126”. Il 17 luglio del ‘92, il venerdì precedente la strage, “insieme ad altre persone portai la 126 davanti alla carrozzeria di Giuseppe Orofino, in via Messina Marina. L’indomani, mentre stavo nel bar Badalamenti, alla Guadagna, insieme ad altre persone, arrivarono Gaetano e Pietro Scotto, e ‘Tanuzzu’ parlando ai presenti disse che erano riusciti a intercettare il telefono: ‘stavolta a chistu l’incucciammu (questo stavolta l’abbiamo in pugno. Ndr), è stata la risposta dei presenti. Nel pomeriggio, insieme ad altre persone, in tutto otto, abbiamo portato la macchina nella carrozzeria di Orofino. Qualcuno portò dentro la carrozzeria la 126, e dopo un po’ arrivò una Suzuki jeep che, secondo me, portava l’esplosivo. Io non entrai nella carrozzeria, ma, insieme ad altri due, giravamo con le moto intorno l’edificio”. Il compito di Scarantino e delle altre persone era quello di intercettare eventuali pattuglie della polizia o dei carabinieri, sparargli e farsi eventualmente arrestare pur di salvare le persone dentro la carrozzeria. “Dopo circa quattro ore – continua Scarantino – uscirono dalla carrozzeria e tornammo tutti a casa. L’appuntamento era per l’indomani, domenica 19 luglio, alle 5,30 di mattina. All’alba, insieme ad altre persone, siamo andati a prendere la macchina, quindi, con un corteo di tre automobili e la 126 in mezzo siamo andati in piazza Leone, dove ci aspettavano altre tre persone. Lì ci siamo fermati, gli abbiamo consegnato l’auto e ce ne siamo andati. Io sono tornato a casa, ho parlato al telefono con la mia ragazza, ho pranzato, ho chiamato al telefono la mia amante, poi, nel pomeriggio, alle 17,30, ho sentito persone in mezzo alla strada che gridavano ‘hanno ucciso Borsellino, hanno ucciso Borsellino’. Sono subito andato da Salvatore Profeta per dargli la notizia, a casa sua, e l’ho trovato sdraiato sul divano che guardava alla televisione le immagini della strage di via D’Amelio. In seguito mi dissero che a compiere la strage erano stati quei tre che ci aspettavano a piazza Leone, quei tre ‘dalle corna d’acciaio’”.
📌 Il 26 luglio 1995, per la prima volta, si diffondono “voci” secondo le quali Scarantino avrebbe deciso di ritrattare le sue accuse. Tramite il sostituto Carmelo Petralia la procura smentisce, ma Concetta Scarantino, sorella di Vincenzo, e la cognata Maddalena Mastrolembo (moglie di Domenico – fratello del “pentito” – in carcere per ricettazione di auto) riferiscono ai cronisti di avere ricevuto due telefonate e poi una terza (che hanno registrato) nelle quali Scarantino affermerebbe di “voler tornare in cella, di volere parlare con i magistrati per ritrattare le accuse”.
📌 Il 26 luglio 1995  SCARANTINO viene rintracciato da Angelo Mangano, un giornalista di Studio Aperto a cui dichiara di aver “deciso di dire tutta la verità e di non collaborare più, perché ho detto tutte bugie. Non è vero niente, sono tutti articoli che ho letto nei giornali e ho montato tutta questa cosa”. Alla domanda del giornalista se “quindi sono tutti innocenti quelli che lei ha nominato?”, Scarantino risponde: Tutti innocenti, me ne vado in carcere e lo so che mi faranno orinare sangue e mi faranno morire in carcere. Però morirò con la coscienza a posto”.  
Il giorno dopo fará  peró marcia indietro: “È stato solo un momento di sconforto, confermo la mia volontà di collaborare con la giustizia”. Lo dice al pubblico ministero di Caltanissetta CARMELO PETRALIA.
Una pista, quella SCARANTINO, imboccata senza riserve dagli investigatori che però non convince in tempi successivi i magistrati Boccassini e Saieva   
27 luglio 1995 Scarantino fa marcia indietro: “E’ stato solo un momento di sconforto, confermo la mia volontà di collaborare con la giustizia”. Lo dice al pubblico ministero di Caltanissetta Carmelo Petralia. In relazione al “caso Scarantino” la procura di Caltanissetta diffonde una nota nella quale definisce “grave il comportamento di quanti hanno strumentalizzato un comprensibile desiderio di affetto per fini processuali che nulla hanno che vedere con una vicenda che presenta tratti esclusivamente umani”. Aggiunge l’altro pm del processo, Anna Maria Palma: “La mobilitazione, non nuova, della sua famiglia e di un intero quartiere conferma, se mai ve ne fosse bisogno, la caratura del personaggio e l’importanza delle dichiarazioni che ha reso”.
📌 Il 10 ottobre 1995 , in un esposto consegnato alla procura di Palermo, Rosalia Basile, moglie di Scarantino, accusa i magistrati della procura di Caltanissetta di avere estorto al marito le sue confessioni. Sempre secondo l’esposto, Scarantino avrebbe confidato alla moglie che i pubblici ministeri Carmelo Petralia ed Ilda Boccassini lo avrebbero indotto ad accusare il cognato Salvatore Profeta: “Se non lo fai non sei credibile” gli avrebbero detto. “Mio marito mi disse che i pm giocano sporco. Rosalia, devi vedere come mi difendono, pur sapendo che sono tutte bugie, perché se questo processo finisce male possono andare a difendere i processi dei minori”. In un’altra occasione, sostiene la moglie, il “pentito” sarebbe venuto a Palermo per individuare l’officina carrozzeria di Giuseppe Orofino dove la 126 venne caricata con il tritolo. “Mio marito non sapeva dove si trovasse – sostiene la donna – e con un gesto uno dei poliziotti gliela indicò”. Nell’esposto si prospettano comportamenti illeciti da parte dei magistrati inquirenti sulla strage di Caltanissetta, con riferimento a una presunta falsa verbalizzazione od a rifiuto di verbalizzare ed infine al divieto che sarebbe stato imposto a Scarantino di parlare con i magistrati di Palermo in assenza di quelli nisseni. Informata dell’esposto, presentato dalla moglie di Scarantino, il sostituto procuratore di Caltanissetta, Anna Maria Palma, pubblico ministero d’aula al processo per la strage di via D’Amelio, così commenta: “Questo conferma ancora una volta le incredibili pressioni che la Basile riceve dalla famiglia”.
Intanto stanno emergendo nuovi particolari sulla personalità di Scarantino e soprattutto sulla sua vita sessuale che potrebbe essere incompatibile con un uomo d’onore. Il 31 ottobre in Assise vengono chiamati a testimoniare “Margot”, “Flavia” e “Fiammetta” (un transessuale e due omosessuali) e cioè Michela D’Amico, 35 anni, Mario Ingrassia, 34, e Giovanni Nicchia, 40. “Margot”, che ha cambiato sesso e si è sposata cinque anni prima con un imprenditore toscano, conferma che dal 1982 al 1984 ebbe una relazione con Scarantino: “Lo conobbi per strada a Palermo. Enzo mi offrì un passaggio ed io accettai. Da quel giorno abbiamo vissuto per quasi due anni assieme, ne ero innamorata”.Vengono poi ascoltati Mario Ingrassia e Giovanni Nicchia, che abitavano nello stesso cortile dove “Margot” viveva con il “pentito”. I due testi confermano l’esistenza di una relazione tra il transessuale e Scarantino.
📌 Il 2 novembre 1995 Scarantino riafferma di essere “pentito” e leale collaboratore della giustizia. Rivela inoltre che la moglie gli confidò di avere ricevuto pressioni telefoniche da Pietro Aglieri ed altri latitanti perché lo inducesse a ritrattare. Più volte durante l’’interrogatorio della moglie, Vincenzo Scarantino grida “bugiarda” alla moglie che risponde: “Bugiardo sei tu, dilla tutta la verità”. Rosalia Basile dichiara inoltre che in occasione della deposizione del marito al processo “gli fecero avere le carte un mese prima e lo fecero studiare”. “Sono qui – prosegue – per dire tutta la verità e anche mio marito la deve dire. A luglio mio marito voleva tornare a Palermo e ritrattare tutto. Diceva che il verbale lo aveva fatto il pm Petralia e lui aveva firmato. Poi gli hanno fatto fare un confronto con altri pentiti, Cancemi, Di Matteo, La Barbera e anche con Marino Mannoia”. “Quando chiesi di tornare a Palermo – sostiene la teste – vennero i Pm Palma, Petralia e l’avv. Lucia Falzone. Volevo tornare a casa quando Enzo mi disse che era innocente. Ma non potevo uscire perché ero sequestrata in casa. Dopo che mio marito voleva ritrattare ci trasferirono in una villa dove pagavano quattro milioni al mese. In quella villa venne l’ispettore Luigi Pagano che disse a mio marito che poteva richiedere una bella somma se mi convinceva a rimanere, 500 milioni. La dottoressa Palma venne a trovarmi e mi disse che io al processo dovevo avvalermi della facoltà di non rispondere. Ma ho deciso di tornare a casa, l’ho fatto per la mia coscienza. Nei giorni scorsi mio marito mi ha telefonato dicendo ‘Attenta a quello che dici al processo’.  
📌 Il7 agosto 1996 sulla scena processuale compare un altro “pentito”, Giovanbattista Ferrante il quale tra i motivi che lo hanno indotto alla “collaborazione” dice che c’è anche il desiderio di scagionare una persona da lui ritenuta innocente: Pietro Scotto, il tecnico dell’Elte (impiantistica telefonica) condannato all’ergastolo con l’accusa di avere intercettato l’utenza della madre del giudice Paolo Borsellino per raccogliere informazioni, indispensabili al commando omicida, sugli ultimi spostamenti del procuratore aggiunto. Ferrante esclude che l’utenza fu intercettata ed avrebbe spiegato il modo in cui Cosa Nostra apprese che il magistrato si sarebbe recato a casa della madre. Secondo il pm Anna Maria Palma, Ferrante ha partecipato solo alla fase finale dell’attentato: “Il collaboratore di giustizia non conosce le fasi precedenti e quindi non sa del ruolo di Scotto che è stato ampiamente provato”. Tanto “ampiamente provato” che Scotto sarà assolto nel processo d’Appello.
📌 Il 27 maggio 1997, gli avvocati impegnati nella difesa dei 18 imputati del processo bis per la strage di via D’Amelio, nel corso di una conferenza stampa, affermano che “I pm hanno tenuto nel cassetto confronti discordanti tra pentiti”. Gli avvocati ribadiscono che i pm Anna Palma e Antonino Di Matteo avrebbero depositato con anni di ritardo il testo dei confronti tra il “pentito” Vincenzo Scarantino ed altri tre collaboratori (Salvatore Cancemi, Gioacchino La Barbera e Santo Di Matteo) nel corso dei quali il teste-chiave del processo viene smentito in molti punti. In particolare sulla presunta riunione in cui i boss avrebbero deciso la strage. Secondo i legali, i verbali dei confronti, svolti nel gennaio del ’95, non vennero depositati all’udienza preliminare del ’96: “Se il Gip li avesse letti – dice l’avv. Scozzola – avrebbe potuto o dovuto concludere in maniera diversa”. Il mancato deposito di quei confronti avrebbe impedito di chiarire la posizione di alcuni soggetti imputati e detenuti con il regime del 41 bis per i quali “si aveva la sola accusa di Scarantino”.
📌 Il 22 luglio 1997 quasi a ribadire l’attendibilità di Sacarantino, il gip del tribunale di Caltanissetta, Gilda Loforti, dispone con due decreti il sequestro preventivo di fotografie, negativi, filmati, identikit e “in ogni caso – si legge nella nota che accompagna i provvedimenti – di tutte le immagini comunque ritraenti il collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino” e di sua moglie, Rosalia Basile. Scarantino”.  
📌 Il 16 settembre 1997 Scarantino revoca il mandato al suo legale, l’avv. Lucia Falzone. La Falzone aveva assunto la difesa del “pentito” nel settembre del 1994. Sacrantino nomina l’avv. Enzo Guarnera, altro legale esperto nell’assistenza ai “pentiti”.  
📌Il 24 luglio 1998 viene ascoltato al processo Borsellino bis Rosario Scarantino, fratello di Vincenzo. Rosario riferisce che il fratello si è inventato tutto perché, dopo essere stato arrestato e sottoposto al carcere duro, per ingraziarsi i magistrati ha accusato gli altri imputati del processo. Lo scopo, secondo il fratello del “pentito”, era quello di ottenere – come poi è avvenuto – delle agevolazioni e quindi la libertà.
📌 Il 15 settembre 1998 Scarantino si “pente” nuovamente di essersi “pentito” e annuncia una nuova ritrattazione. La ritrattazione avviene davanti ai giudici della corte d’Assise di Caltanissetta nel corso dell’udienza del processo bis in trasferta a Como. Scarantino compare assieme al fratello Rosario per un confronto e sostiene di essere estraneo alla strage. Per questo motivo sia i difensori degli imputati che i pm chiedono che Scarantino sia interrogato come teste. I pm chiedono anche “l’esame di funzionari di polizia su quanto accertato in relazione a tentativi di arrivare a convincere Vincenzo Scarantino a ritrattare”. “Mi riferisco – dice il pm Di Matteo – in particolare a movimenti di denaro sino a qualche giorno fa”. Che Vincenzo Scarantino avesse intenzione di fare un colpo di scena, lo si sospetta fin dal momento in cui si siede davanti alla corte ed chiede che vengano allontanati gli agenti che gli facevano da paravento e che le telecamere riprendano le sue dichiarazioni. Scarantino racconta di essere giunto alla decisione di “collaborare” dopo aver subito un violento e duro trattamento in carcere: “A Pianosa ho passato quaranta giorni indimenticabili. Scrivevo sui muri del bagno che se io facevo il bugiardo era perché mi volevano ammazzare”. Poi dice di aver dichiarato di essere pronto a “collaborare” e a rivelare notizie sul traffico di droga a Palermo. E aggiunge: “Ma il dottor La Barbera disse che gli interessavano solo gli omicidi. Io di quello di Borsellino sono innocente”. Fu il trattamento carcerario (“cibo scarso e con i vermi”) a convincerlo a cambiare atteggiamento. Gli fu quindi detto che avrebbe incontrato l’allora capo del gruppo antistragi Arnaldo La Barbera, il pm Ilda Boccassini e l’avv. Luigi Li Gotti. “La Barbera – dice ancora Scarantino – mi disse che mi sarei fatto solo qualche mese di galera e che mi avrebbe dato 200 milioni. A me non interessavano i piccioli (soldi, ndr). Poi entrarono la Boccassini e Li Gotti”. Conclusa la dichiarazione, Scarantino chiede al presidente di essere rimandato in carcere insieme a detenuti comuni. “Tutte bugie. Ho inventato tutto io, assieme alla polizia e ai giornali. L’unica cosa vera è la droga, che io lavoravo con la droga”. Con queste parole alla ripresa pomeridiana dell’udienza, Vincenzo Scarantino ribadisce la sua ritrattazione. Sostiene di aver raccontato bugie per ottenere un trattamento migliore in carcere, di aver deciso di ritrattare dopo che è passata in giudicato la condanna per il primo processo sulla strage di via D’Amelio (né il suo legale, né i pm hanno proposto appello e quindi la condanna è definitiva. Ndr).  “Io – aggiunge l’ex “pentito” – con chiunque ho parlato, con i pm, che Dio mi perdoni, ho giurato falsamente. Io di mafia non so niente”. Poi precisa di aver fatto dichiarazioni ai magistrati in base a notizie raccolte da processi o sui giornali o ascoltando tv o Radio Radicale. Accusò alcuni degli imputati per motivi personali, di vendetta. Per questi motivi infatti indicò Santo Di Matteo come colui che aveva riempito di esplosivo l’auto-bomba che uccise Borsellino e Gioachino La Barbera, la cui foto aveva visto in tv, come presente alla riunione organizzativa della strage. Poi dichiara di aver temuto che qualcuno volesse infettarlo col virus dell’Aids: “Io sono qua per pulirmi la coscienza. So bene che mia moglie e i miei figli saranno gettati in mezzo alla strada”. Infine afferma di non aver mai ricevuto denaro da nessuno per ritrattare. “Se muoio – avverte Scarantino, rispondendo al controesame del pm Antonio Di Matteo – è per ordini superiori della Squadra Mobile di Napoli o Palermo. Io non ho intenzione di ammazzarmi”. “Io chiedevo soldi, la macchina – ha detto ancora – E mi accontentavano. Io sono una pedina”. Infine Scarantino sostiene di aver “collaborato con la giustizia” dopo essersi arreso alle pressioni psicologiche dei pm. Emerge nel frattempo anche un particolare sconvolgente: nonostante si fosse accusato di quattro omicidi commessi a Palermo, la procura di Gian Carlo Caselli non ha mai creduto al “pentimento” di Vincenzo Scarantino, non ha mai utilizzato le sue dichiarazioni in nessun procedimento di mafia e, conseguentemente, non ha mai chiesto il suo inserimento nel programma di protezione previsto per i collaboratori. Scarantino aveva confessato di avere assassinato, tra gli altri, i “picciotti” Luigi e Santo Lucera, zio e nipote, uccisi nel quartiere Guadagna il 9 marzo del 1990. Poi alzò progressivamente il livello delle sue dichiarazioni chiamando in causa anche lo 007 del Sisde Bruno Contrada e l’on. Silvio Berlusconi. Ma neanche in questi casi la procura di Palermo ritenne di utilizzare le dichiarazioni del “pentito”
📌 Il 19 ottobre 1998, al processo d’appello per la strage di via D’Amelio, Scarantino torna a ribadire la sua ritrattazione. “Negli ultimi anni – racconta l’ex “pentito” – telefonavo spesso alla dottoressa Palma per informarla che volevo dire la verità, cioè finire di fare il falso pentito, ma lei replicava sempre: ‘Scarantino, stia calmo la finisca di fare così, lo Stato le ha dato la casa, la villetta a mare, l’automobile’”. Scarantino afferma che, per rendersi “più credibile”, accusò soprattutto il cognato Salvatore Profeta (uno dei tre imputati condannati al carcere a vita, ndr): “Ad ognuno degli imputati affibbiavo due accuse per l’attentato di via D’Amelio, così se venivano assolti per la strage rimaneva sempre il reato di omicidio. Io comunque mentivo per fare un piacere ai magistrati, e loro mi hanno fatto dare da un’ispettrice di polizia un libro scritto da Buscetta per imparare come era composta Cosa nostra. Dicevano che ero troppo grezzo come pentito, cioè non conoscevo l’organigramma della mafia. Prima, infatti, parlavo di quartieri della Guadagna, della Noce, e così, via mentre poi appresi che dovevo dire famiglie”. Scarantino aggiunge che “su altri omicidi so che la procura di Palermo non ha mai creduto a quello che ho raccontato e commentando con i pm del processo Borsellino dicevo, ‘ma come, per la strage sono credibile, mentre per gli altri delitti no?’ La dottoressa Palma, però, mi rassicurava dicendo che le cose per me si sarebbero aggiustate anche a Palermo”. 

📌 A COMO, il 15 settembre 1998 si svolge una sessione in trasferta del processo Borsellino bis. Nel corso di un confronto con il fratello Rosario, SCARANTINO ammette di non essere a conoscenza dei fatti oggetto del processo e aggiunge di aver subito minacce e vessazioni in carcere.
Il principale teste d’accusa di quella strage dichiara dunque di non sapere nulla, di aver detto solo bugie costruite assieme alla polizia :«Su via D’Amelio inventai tutto. Avevo paura e volevo uscire di cella” .
📌 Pesante come un macigno, arriva quindi l’ultima «verità» di SCARANTINO: l’accusa a poliziotti e magistrati di aver tenuto comportamenti più che discutibili. Ancora una volta però non viene creduto.
📌 Il 19 ottobre 1998, al processo d’appello per la strage di via D’Amelio, Scarantino torna a ribadire la sua ritrattazione. “Negli ultimi anni – racconta l’ex “pentito” – telefonavo spesso alla dottoressa Palma per informarla che volevo dire la verità, cioè finire di fare il falso pentito, ma lei replicava sempre: ‘Scarantino, stia calmo la finisca di fare così, lo Stato le ha dato la casa, la villetta a mare, l’automobile’”. Scarantino afferma che, per rendersi “più credibile”, accusò soprattutto il cognato Salvatore Profeta (uno dei tre imputati condannati al carcere a vita, ndr): “Ad ognuno degli imputati affibbiavo due accuse per l’attentato di via D’Amelio, così se venivano assolti per la strage rimaneva sempre il reato di omicidio. Io comunque mentivo per fare un piacere ai magistrati, e loro mi hanno fatto dare da un’ispettrice di polizia un libro scritto da Buscetta per imparare come era composta Cosa nostra. Dicevano che ero troppo grezzo come pentito, cioè non conoscevo l’organigramma della mafia. Prima, infatti, parlavo di quartieri della Guadagna, della Noce, e così, via mentre poi appresi che dovevo dire famiglie”. Scarantino aggiunge che “su altri omicidi so che la procura di Palermo non ha mai creduto a quello che ho raccontato e commentando con i pm del processo Borsellino dicevo, ‘ma come, per la strage sono credibile, mentre per gli altri delitti no?’ La dottoressa Palma, però, mi rassicurava dicendo che le cose per me si sarebbero aggiustate anche a Palermo”.  
📌 Il 22 ottobre 1998 i penalisti di Palermo fanno quadrato attorno ai colleghi Paolo Petronio e Giuseppe Scozzola, accusati dai pm del processo Borsellino bis di avere pianificato la ritrattazione di Scarantino. La Camera penale chiede l’intervento del Csm, del ministro della Giustizia e del pg presso la Corte di Cassazione affinché sia valutata “la necessità che i pm Anna Maria Palma e Nino Di Matteo continuino a sostenere l’accusa nel processo e a svolgere indagini sulla ritrattazione” di Scarantino. Il giorno dopo il procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tenebra accoglie la richiesta della Palma e di De Matteo di essere sollevati dalle indagini sui retroscena della ritrattazione di Scarantino e affida il fascicolo processuale ai sostituti Salvatore Leopardi e Roberto Condorelli. I due pm continuano, invece, a sostenere l’accusa nel processo bis per la strage di via D’Amelio.
📌 Il 23 ottobre 1998 Scarantino torna ad accusare i pm di averlo manovrato. Parla di dichiarazioni non verbalizzate, audiocassette di interrogatori “messe da parte” perché “non gradite”, persino la confidenza, fattagli, a suo dire, da magistrati di Caltanissetta, che le sue rivelazioni avevano “provocato la caduta del governo Berlusconi”. Il 29 ottobre, nel corso di un’udienza del processo d’appello sulla strage, l’avv. Scozzola, difensore di Scotto, chiede la trascrizione del primo interrogatorio da “pentito” di Vincenzo Scarantino e la trascrizione delle bobine del confronto tra lo stesso ex “pentito” e il collaborante Salvatore Cancemi. Il legale ha ipotizzato una manomissione dei verbali redatti dal gruppo investigativo che indaga sulle stragi. La presunta manipolazione riguarderebbe alcune dichiarazioni rese da Scarantino il 24 giugno del 1994 e la “cancellazione misteriosa” di 40 secondi di registrazione del confronto con Cancemi. Nell’interrogatorio Scarantino, parlando di Gaetano Scotto, lo indica come un “picciotto”. L’ex “pentito” chiarisce poi che intendeva indicare un “picciotto di 40 anni che era anche atletico, ma in effetti volevo dire un cristiano”. La difesa, invece, sostiene che nel verbale è stata lasciata appositamente la definizione “picciotto” che in dialetto indicherebbe una persona di non più di 25 anni. 

📌 Il 13 novembre 1998 nel corso di un’udienza del processo d’Appello per la strage l’avv. Fabio Passalacqua, nuovo difensore di Scarantino, deposita alcuni documenti che erano in possesso del suo cliente. I legali Giuseppe Scozzola e Paolo Petronio, difensori degli imputati Pietro Scotto e Salvatore Profeta, diramano una nota nella quale sostengono che il processo avrebbe assunto “connotazioni a dir poco sconvolgenti”. Tra i documenti prodotti dal legale, secondo Scozzola e Petronio, ci sarebbero “numerose annotazioni su verbali da correggere, vari appunti su discrasie da sanare, foto di imputati e verbali diversi o nuovi rispetto a quelli depositati ed in possesso delle difese nei due tronconi del processo. Le annotazioni sono scritte in stampatello e non pare proprio possano attribuirsi allo Scarantino, in quanto pressoché analfabeta”.
📌 Il 24 novembre 1998 sempre in aula, Scarantino parla di “bigliettini” posti come segnalibro tra le pagine di atti processuali che lo riguardavano. Per gli avvocati degli imputati gli appunti sarebbero prova di un presunto inquinamento processuale. L’ex “pentito” afferma che a consegnargli i ”bigliettini” sarebbero stati due agenti di polizia, Fabrizio Mazzei e Michele Ribaldo. Il processo si conclude il 23 gennaio 1999: due tre imputati del primo processo per la strage, Scotto e Orofino, vengono assolti in Appello. E’ evidente che la corte ha creduto Scarantino “credibile” ma solo per un terzo, visto che l’ergastolo è stato confermato solo a Profeta. Ciononostante la procura di Caltanissetta non molla e per bocca del sostituto procuratore Luca Tescaroli afferma: “Per il nostro ufficio le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, se riscontrate, continueranno ad essere utilizzate”. Tescaroli aggiunge: “Nonostante questa sentenza noi crediamo ancora al pentito”. L’ostinazione giudiziaria della procura anche di fronte alla più palese delle evidenze viene confermata dal procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra: “La sentenza della Corte d’ Assise d’Appello non rappresenta una sconfitta per la procura il cui impianto accusatorio ha retto”. Lo stesso giorno, in una nota, l’avv. Giuseppe Scozzola definisce “incomprensibile l’assenza dello Stato nella gestione di questo processo”. Perché, si chiede il legale, “non è stata mai disposta alcuna ispezione alla procura di Caltanissetta per appurare come Scarantino abbia potuto avere la copia degli interrogatori, quasi tutti annotati, mentre la difesa ancor oggi ha copie parziali degli stessi”. Scozzola afferma ancora che “la sentenza di oggi dimostra come, laddove le regole del processo vengono rispettate nella loro interezza, è possibile che lo stato di diritto abbia una sua piena esplicazione”. Il 13 febbraio, con sette ergastoli per i componenti della Cupola, considerati mandanti dell’agguato, si conclude anche il primo grado del processo “Borsellino bis”. In corso a Caltanissetta è invece ancora il processo “Borsellino ter”. Il 31 agosto viene arrestato per traffico di stupefacenti Domenico Scarantino, 40 anni, fratello di Vincenzo,

📌 Il 22 ottobre 1998 i penalisti di Palermo fanno quadrato attorno ai colleghi Paolo Petronio e Giuseppe Scozzola, accusati dai pm del processo Borsellino bis di avere pianificato la ritrattazione di Scarantino. La Camera penale chiede l’intervento del Csm, del ministro della Giustizia e del pg presso la Corte di Cassazione affinché sia valutata “la necessità che i pm Anna Maria Palma e Nino Di Matteo continuino a sostenere l’accusa nel processo e a svolgere indagini sulla ritrattazione” di Scarantino. Il giorno dopo il procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tenebra accoglie la richiesta della Palma e di De Matteo di essere sollevati dalle indagini sui retroscena della ritrattazione di Scarantino e affida il fascicolo processuale ai sostituti Salvatore Leopardi e Roberto Condorelli. I due pm continuano, invece, a sostenere l’accusa nel processo bis per la strage di via D’Amelio.
Il 23 ottobre 1998 Scarantino torna ad accusare i pm di averlo manovrato. Parla di dichiarazioni non verbalizzate, audiocassette di interrogatori “messe da parte” perché “non gradite”, persino la confidenza, fattagli, a suo dire, da magistrati di Caltanissetta, che le sue rivelazioni avevano “provocato la caduta del governo Berlusconi”.
📌 Il 29 ottobre 1998 nel corso di un’udienza del processo d’appello sulla strage, l’avv. Scozzola, difensore di Scotto, chiede la trascrizione del primo interrogatorio da “pentito” di Vincenzo Scarantino e la trascrizione delle bobine del confronto tra lo stesso ex “pentito” e il collaborante Salvatore Cancemi. Il legale ha ipotizzato una manomissione dei verbali redatti dal gruppo investigativo che indaga sulle stragi. La presunta manipolazione riguarderebbe alcune dichiarazioni rese da Scarantino il 24 giugno del 1994 e la “cancellazione misteriosa” di 40 secondi di registrazione del confronto con Cancemi. Nell’interrogatorio Scarantino, parlando di Gaetano Scotto, lo indica come un “picciotto”. L’ex “pentito” chiarisce poi che intendeva indicare un “picciotto di 40 anni che era anche atletico, ma in effetti volevo dire un cristiano”. La difesa, invece, sostiene che nel verbale è stata lasciata appositamente la definizione “picciotto” che in dialetto indicherebbe una persona di non più di 25 anni.
📌 Il 13 novembre 1998 nel corso di un’udienza del processo d’Appello per la strage l’avv. Fabio Passalacqua, nuovo difensore di Scarantino, deposita alcuni documenti che erano in possesso del suo cliente. I legali Giuseppe Scozzola e Paolo Petronio, difensori degli imputati Pietro Scotto e Salvatore Profeta, diramano una nota nella quale sostengono che il processo avrebbe assunto “connotazioni a dir poco sconvolgenti”. Tra i documenti prodotti dal legale, secondo Scozzola e Petronio, ci sarebbero “numerose annotazioni su verbali da correggere, vari appunti su discrasie da sanare, foto di imputati e verbali diversi o nuovi rispetto a quelli depositati ed in possesso delle difese nei due tronconi del processo. Le annotazioni sono scritte in stampatello e non pare proprio possano attribuirsi allo Scarantino, in quanto pressoché analfabeta”.
📌 Il 24 novembre 1998, sempre in aula, Scarantino parla di “bigliettini” posti come segnalibro tra le pagine di atti processuali che lo riguardavano. Per gli avvocati degli imputati gli appunti sarebbero prova di un presunto inquinamento processuale. L’ex “pentito” afferma che a consegnargli i ”bigliettini” sarebbero stati due agenti di polizia, Fabrizio Mazzei e Michele Ribaldo.
Il processo si conclude il 23 gennaio 1999: due tre imputati del primo processo per la strage, Scotto e Orofino, vengono assolti in Appello. E’ evidente che la corte ha creduto Scarantino “credibile” ma solo per un terzo, visto che l’ergastolo è stato confermato solo a Profeta. Ciononostante la procura di Caltanissetta non molla e per bocca del sostituto procuratore Luca Tescaroli afferma: “Per il nostro ufficio le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, se riscontrate, continueranno ad essere utilizzate”. Tescaroli aggiunge: “Nonostante questa sentenza noi crediamo ancora al pentito”. L’ostinazione giudiziaria della procura anche di fronte alla più palese delle evidenze viene confermata dal procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra: “La sentenza della Corte d’ Assise d’Appello non rappresenta una sconfitta per la procura il cui impianto accusatorio ha retto”. Lo stesso giorno, in una nota, l’avv. Giuseppe Scozzola definisce “incomprensibile l’assenza dello Stato nella gestione di questo processo”. Perché, si chiede il legale, “non è stata mai disposta alcuna ispezione alla procura di Caltanissetta per appurare come Scarantino abbia potuto avere la copia degli interrogatori, quasi tutti annotati, mentre la difesa ancor oggi ha copie parziali degli stessi”. Scozzola afferma ancora che “la sentenza di oggi dimostra come, laddove le regole del processo vengono rispettate nella loro interezza, è possibile che lo stato di diritto abbia una sua piena esplicazione”. 

📌 Il15 dicembre 1998 ANTONINO DI MATTEO, il pm che condusse la requisitoria al processo Borsellino-Bis, afferma a sua volta che le ritrattazioni dell’imputato sono “tecniche di Cosa Nostra che conosciamo bene”, che “la ritrattazione dello Scarantino ha finito per avvalorare ancor di più le sue precedenti dichiarazioni”.
Poco importa che dopo aver interrogato Scarantino per un altro caso, il procuratore di Palermo SABELLA, al pari della BOCCASSINIe SAIEVA,lo avesse invece ritenuto “fasullo dalla testa ai piedi”.
📌 L’inizio della SVOLTA avviene il 15 ottobre 2008: diventa ufficiale il pentimento di GASPARE SPATUZZA, il killer del gruppo di fuoco dei fratelli GRAVIANO. SPATUZZA fa una rivelazione che spiazza e sbugiarda definitivamente SCARANTINO: “Fui io a rubare la 126 usata come autobomba per la strage di Via D’Amelio (nella notte fra il 9 e il 10 luglio). A commissionarmi il furto furono i fratelli Graviano.
Le sue dichiarazioni trovano totale riscontro su tutti i punti che riguardano la strage. SCARANTINO è un falso “pentito” a cui in troppi hanno incredibilmente creduto. 
Con la confessione di SPATUZZA le indagini imboccano finalmente la giusta strada ma mettono in crisi molto del lavoro fino ad allora svolto negli anni dalla Procura e dalle corti d’Assise di Caltanissetta.
Il nuovo pentito
 continua a fornire prove, indirizzi, particolari completamente diversi da quelli che fino ad allora una schiera di magistrati aveva appunto valutato “perfettamente riscontrati” con l’“attendibilissimo” pentito SCARANTINO e apre delle profonde crepe nel processo  in teoria già concluso definitivamente, riguardante mandanti ed esecutori della strage.  
📌 Pur nel comprensibile imbarazzo generale, alla Procura di Caltanissetta non resta che riaprire le indagini sulla strage di via d’Amelio: nel 2009 gli ex collaboratori di giustizia Scarantino, Candura e Andriotta avevano dichiarato ai magistrati di essere stati costretti a collaborare dal questore Arnaldo La Barbera e dal suo gruppo investigativo, che li avevano sottoposti a forti pressioni psicologiche, maltrattamenti e minacce per spingerli a dichiarare il falso.
La libertà per coloro che sono stati ingiustamente condannati alla pena dell’ergastolo arriverà però molti anni dopo proprio grazie alle rivelazioni dei pentiti GASPARE SPATUZZA e FABIO TRANCHINA che attesteranno la piena validità della ritrattazione dello SCARANTINO. Ritrattazione fino a quel momento non ritenuta attendibile dai magistrati inquirenti e giudicanti.
📌 Nel 2013 inizia un nuovo processo per la strage di via d’Amelio, denominato “Borsellino Quater” che si concluderà il 13 luglio 2017 con l’assoluzione di tutti gli imputati. La sentenza della Corte di Assise definirà quello sulla strage di via D’Amelio “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”.  
La Corte scrive infatti in sentenza: “Un insieme di fattori avrebbe logicamente consigliato un atteggiamento di particolare cautela e rigore nella valutazione delle dichiarazioni di SCARANTINO, con una minuziosa ricerca di tutti gli elementi di riscontro, secondo le migliori esperienze maturate nel contrasto alla criminalità organizzata”.

📌 Il 13 febbraio 1999 con sette ergastoli per i componenti della Cupola, considerati mandanti dell’agguato, si conclude anche il primo grado del processo “Borsellino bis”. In corso a Caltanissetta è invece ancora il processo “Borsellino ter”.
📌 Il 31 agosto 1999 viene arrestato per traffico di stupefacenti Domenico Scarantino, 40 anni, fratello di Vincenzo.

📌 Adicembre del 1999 i giudici delle Assise di Caltanissetta condannano all’ergastolo altri 17 accusati nel terzo filone d’inchiesta denominato “Borsellino-ter”. Fra i condannati a pene per complessivi 175 anni di reclusione, anche tre “collaboratori della giustizia”, Salvatore Cancemi (a 26 anni), Giovan Battista Ferrante (a 23 anni) e Giovanni Brusca (a 16 anni)

📌 Il 26 novembre 2018, con l’udienza preliminare, inizia una nuova tornata processuale dedicata al  DEPISTAGGIO  e che si protrarrà per 85 udienze per concludere il suo iter il 5 aprile 2023 con il deposito delle motivazioni alla Sentenza.   L’accusa, rappresentata dai pm Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso chiede la condanna a 11 anni e 10 mesi di carcere per Mario Bo e a 9 anni e 6 mesi ciascuno per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.   Nell’ambito della sentenza arrivata dopo quattro anni con la quale viene  assolto un imputato e dichiarate prescritte le accuse per altri due, il tribunale dispone la trasmissione alla Procura delle deposizioni di quattro poliziotti, ex colleghi di Bo e Mattei, che non avrebbero detto tutta la verità in aula: sotto accusa ci sono ora Maurizio Zerilli, Angelo Tedesco, Vincenzo Maniscaldi e Giuseppe Di Gangi. Il 16 novembre 2023 ai quattro viene recapitato  l’avviso della chiusura delle indagini. Il pm STEFANO LUCIANI l’aveva evidenziato nella sua requisitoria: «In questo processo, ci sono stati testimoni convocati dall’accusa che non hanno fatto onore alla divisa che indossano. Si sono trasformati in testi della difesa in maniera grossolana».  È stato il processo di tanti silenzi, di molte bugie e dei non ricordo. È stato il processo in cui la famiglia Borsellino ha chiesto per l’ennesima volta di sapere la verità. Che resta ancora lontana.

📌 Dopo 31 anni, davanti alla  alla Corte nissena vi sono stati alla sbarra i tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra. Il 5 aprile 2023 vengono depositate le motivazioni della sentenza. Del “Processo depistaggio di primo grado. Il 4 giugno 2024 viene emessa lasentenza della Corte d’Assise d’appello “Processo depistaggio”. Nessuna condanna per il depistaggio sulle indagini sulla strage di Via D’Amelio. Dopo otto ore di Camera di consiglio, la sentenza di appello. Il reato di calunnia, di cui erano accusati i tre imputati, i poliziotti Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, nei confronti del falso pentito Vincenzo Scarantino, è prescritto. Sono passati tanti, troppi anni. Così viene confermata, quasi per intero, la sentenza di primo grado. Per Bo e Mattei. Reato prescritto anche per l’ex ispettore Michele Ribaudo, che in primo grado era stato assolto. I giudici non hanno ritenuto per gli imputati l’aggravante di aver commesso il reato per favorire Cosa nostra, per questo è scattata la prescrizione del reato di calunnia.
📌 Il 3 ottobre 2024 inizia un secondo processo depistaggio. Udienza preliminare “Processo depistaggio bis”. Sul banco degli imputati quattro poliziotti accusati di aver mentito come testi al ”Processo depistaggio”.
📌 Il 17 ottobre 2024  A Caltanisetta prima udienza del processo “Depistaggio Bis”
📌 Nel frattempo, Lucia Borsellino e il marito, l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia del giudice nei processi, vengono auditi dalla Commissione parlamentare antimafia sul depistaggio.  Accuse durissime quelle che in tale sede esprimerà la figlia maggiore del magistrato. Parla di “buio istituzionale”, dei “silenzi” e dei “non ricordo” che non hanno consentito di risalire alla verità, ai veri responsabili del depistaggio, ai mandanti occulti e ai responsabili morali della strage e non manca di far riferimento alla sparizione dell’agenda rossa di suo padre, evidenziando che non sia stato compiuto “nell’immediatezza dell’attentato, l’esame del dna sulla borsa”.  
Citando poi un’espressione della sorella Fiammetta, Lucia Borsellino afferma che quella che è stata consegnata alla sua famiglia, dopo inchieste e processi, è solo la verità della menzogna. “Qualunque ricostruzione dei fatti non può prescindere da riscontri documentali e testimonianze raccolti con assoluto rigore metodologico: è passato troppo tempo – ha affermato poi Lucia Borsellino – da quella strage, per cui non siamo più disposti ad accettare verità che non rispondano a questo rigore. Una ricostruzione anche solo sul piano storico delle vicende che hanno caratterizzato prima e dopo la strage di via D’Amelio sconta degli ostacoli che, a nostro avviso, per il tempo trascorso sono divenuti ormai insormontabili, ma spero di essere smentita”. Dopo Lucia  Borsellino e Fabio Trizzino seguiranno una serie di audizioni.


 

26 luglio 1995 – SCARANTINO telefona a Studio Aperto e dice di essersi inventato tutto. La cassetta viene sequestrata

 

 

Quando il dottor ANTONINO DI MATTEO non credette alla ritrattazione di SCARANTINO

 

 

Quando al “BORSELLINO BIS” inquirenti e giudicanti non credettero (purtroppo) alla ritrattazione del falso pentito Vincenzo Scarantino

 

25.10.2011  SCARPINATO: dopo le rivelazioni del pentito SPATUZZA «Indagini  falsate da ansia o depistaggio»

Lo scrive il procuratore di Caltanissetta, Scarpinato,
nella memoria consegnata alla Corte d’appello di Catania per chiedere la revisione dei due processi

Se il pentito Gaspare Spatuzza «dice la verità» sulla strage di Palermo in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta «siamo di fronte a un clamoroso errore investigativo prima e giudiziario poi, magari determinato dall’ansia di dare una risposta all’opinione pubblica, allarmata e disorientata dall’escalation stragista, ovvero il risultato di un vero e proprio depistaggio».
Lo scrive il procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, nelle 1.140 pagine della memoria consegnata alla Corte d’appello di Catania per chiedere la revisione dei due processi celebrati per l’attentato di via D’Amelio del 19 luglio del 1992.

DEPISTAGGIO – Il magistrato, come pubblica il quotidiano La Stampa che riporta stralci del documento, a proposito di un eventuale depistaggio afferma che per «questa inquietante ipotesi, occorre cercare di capire se si fosse voluta coprire la responsabilità di soggetti esterni a Cosa nostra» e per questo «astrattamente riconducibili» a «apparati deviati dei servizi segreti, o a organizzazioni terroristiche eversive».
Sulla posizione di tre funzionari di polizia del pool investigativo Falcone-Borsellino diretto da Arnaldo La Barbera, deceduto, il Pg di Caltanissetta non ha tratto conclusioni, perchè, scrive nel documento non sono stati trovati «sufficienti elementi di riscontro alle accuse formulate nei loro confronti».

CHIESTA REVISIONE PROCESSI – La richiesta di revisione dei processi «Borsellino» e «Borsellino-bis» sulla strage di via D’Amelio, incardinata sulle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, è stata trasmessa due settimane fa alla Corte d’appello di Catania. Riguarda Salvatore Profeta, Cosimo Vernengo, Giuseppe Urso, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino, Gaetano Scotto, Gaetano Murana (condannati all’ergastolo) e Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura, Salvatore Tomaselli e Giuseppe Orofino (condannati a pene fino a 9 anni). Per i condannati detenuti il Pg Scarpinato chiede la sospensione dell’esecuzione della pena; per Orofino, Tomaselli e Candura, che hanno già espiato la condanna, è stata chiesta solo la revisione.

25 ottobre 2011 Corriere del Mezzogiorno 


13 febbraio 1999 La Corte d’Assise in Sentenza … 

 

  • … Addirittura ridicole appaiono, poi, le dichiarazioni di Scarantino sull’attività di depistaggio ed inquinamento probatorio, che sarebbe stata svolta con la partecipazione anche del dott. Arnaldo La Barbera, all’epoca capo della squadra mobile della Questura di Palermo…
  • … Altrettanto incoerenti e prive di senso logico appaiono le accuse mosse nei confronti dei magistrati del Pubblico Ministero, apparendo assolutamente inconsistenti gli asseriti motivi di rancore che avrebbero spinto Scarantino Vincenzo ad accusare persone innocenti e, soprattutto, le ragioni che potrebbero avere animato il complotto istituzionale prospettato fantasiosamente da Scarantino.
  • Le suddette considerazioni inducono a ritenere che la decisione di Scarantino Vincenzo di ritrattare le precedenti dichiarazioni, accusando di oscuri ed incomprensibili complotti gli organi inquirenti, sia stata una scelta necessitata, imposta dalla minuziosità e concordanza delle prime dichiarazioni, che difficilmente potevano essere smentite solo in parte e tantomeno da un soggetto, sicuramente furbo, ma dotato di scarse capacità intellettive come Scarantino Vincenzo.
  • Ció che conferma, comunque, l’assoluta mendacità della ritrattazione di Scarantino Vincenzo è l’acquisizione nel presente dibattimento di prove certe della concreta attuazione di una concertata e laboriosa preparazione di detta ritrattazione, con l’intervento di diversi soggetti che hanno realizzato una deplorevole opera di inquinamento probatorio che, fortunatamente, è stata scoperta prima della definizione del presente giudizio…
  • emerge chiaramente che la decisione di Scarantino Vincenzo di ritrattare certamente non è frutto, come lo stesso ha cercato di far credere, di una spontanea e travagliata scelta morale, dettata dal rimorso di avere accusato persone innocenti, ma, al contrario, discende da una decisione lucida, fredda e calcolata dell’ex collaboratore di giustizia più volte annunciata attraverso comportamenti anomali e preceduta da una lunga contrattazione con ambienti mafiosi palermitani evidentemente interessati a detta ritrattazione, mediata dal fratello Rosario e culminata con l’acquisizione di concrete garanzie economiche, giuridiche e familiari.
  • … la stessa, invece, ha certamente avuto un ignobile contenuto patrimoniale che la rende assolutamente scellerata, poiché risulta dalla deposizione di Don Neri che Scarantino Vincenzo come prezzo della sua ritrattazione ha preteso di rientrare in possesso di valori e beni precedentemente acquisiti attraverso la sua pregressa attività criminale…
  • … Alla luce delle considerazioni sin qui svolte la ritrattazione operata da Scarantino Vincenzo, come si è anticipato all’inizio della presente esposizione, deve essere ritenuta del tutto inattendibile in quanto illogica, incoerente con altre autonome acquisizioni
  • … Dal tenore delle considerazioni sin qui svolte è agevole intuire che questa Corte ha ritenuto di potere attribuire una piena attendibilità intrinseca alle dichiarazioni rese da Scarantino Vincenzo nei primi interrogatori e precisamente alle dichiarazioni raccolte nei primi tre verbali, rese in carcere subito dopo la manifestazione della volontà di collaborare con la giustizia. Va osservato in proposito che dette dichiarazioni appaiono assolutamente complete nella loro struttura essenziale, coerenti sotto il profilo logico e persino concordanti nelle linee generali sia con rilievi di carattere oggettivo, sia con dichiarazioni successivamente rese da altri collaboratori di giustizia che evidentemente non potevano essere conosciute da Scarantino Vincenzo né per scienza diretta, né attraverso suggerimenti esterni che lo stesso
  • Scarantino in sede di ritrattazione ha cercato di accreditare senza, tuttavia, riuscire ad apparire credibile.  In tale specifica ottica le prime dichiarazioni di Scarantino circa la riunione nella villa di Calascibetta assumono una logicità ed una concretezza tali da rendere assolutamente incontestabile l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni medesime.
  • Le dichiarazioni rese da Scarantino Vincenzo nella prima fase della sua collaborazione, contrariamente a quanto da lui sostenuto in sede di ritrattazione, non possono neppure ritenersi inficiate da oscillazioni nell’attribuzione dei ruoli ai singoli compartecipi, né da apprezzabili motivi di rancore verso alcuni dei soggetti chiamati in correità.
  • …A giudizio di questa Corte la verità essenziale che emerge dagli atti è che la Fiat 126 utilizzata come autobomba fu effettivamente procurata da Scarantino su incarico del cognato Profeta Salvatore e che Scarantino si sia rivolto effettivamente al Candura per procurarsela. Proprio quest’ultima circostanza e, in particolare, il fatto che Scarantino Vincenzo, anzicchè rubare personalmente la vettura che doveva essere impiegata per una azione tanto atroce quanto importante per gli interessi di “Cosa nostra”, si sia rivolto ad un balordo tossicodipendente come Candura per reperirla offre una convincente chiave di lettura di tutte le reticenze, le bugie e gli imbarazzi di Scarantino nel riferire l’esatta sequenza dei fatti relativi al reperimento della 126 utilizzata come autobomba.
  • La valutazione di intrinseca attendibilità delle iniziali dichiarazioni rese da Scarantino Vincenzo non riposa, tuttavia, solo sulla loro coerenza logica e sulla possibilità di spiegare le incongruenze sopra evidenziate, bensì anche, e forse soprattutto, sulla concordanza perfetta con altre dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, estremamente attendibili, con i quali per ragioni logiche e cronologiche Scarantino Vincenzo certamente non può essersi accordato.
  • le dichiarazioni di Scarantino Vincenzo nella prima fase di collaborazione e, precisamente, quelle rese prima che intervenissero con la liberazione del collaboratore quei fattori di inquinamento che una attenta analisi ha consentito di individuare con relativa sicurezza, sono da ritenere intrinsecamente logiche, coerenti con altre acquisizioni probatorie e, quindi, astrattamente attendibili ed idonee a costituire prova dei fatti per i quali si procede ove sorrette da sufficienti riscontri individualizzanti di carattere oggettivo.

SEGUE

 

 

 

QUANDO SPATUZZA PARLÒ DI VIA D’AMELIO E NON SUCCESSE NIENTE PER DIECI ANNI


13 luglio 2017 Processo di revisione: la corte d’Assise di Catania assolve tutti gli imputati condannati in precedenza. CONSIDERATE ATTENDIBILI E DETERMINANTI(contrariamente a quanto sostenuto dal PM Di Matteo) LE DICHIARAZIONI DI GASPARE SPATUZZA PER SCARCERARE DOPO 18 anni 11 (uno nel frattempo deceduto) INNOCENTI di CUI 7 CONDANNATI ALL’ERGASTOLO. La REVISIONE – A quasi venticinque anni di distanza dalla Strage di Via D’Amelio, il Processo di Appello di revisione per la Strage voluto dalla Procura di Caltanissetta nel 2011, a seguito delle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, si conclude con l’assoluzione dal reato di strage per dieci imputati che erano stati condannati alla pena dell’ergastolo.
Solo successivamente alla collaborazione di GASPARE SPATUZZA  (avvenuta a decorrere dal giugno 2008), le cui dichiarazioni, puntualmente, concordemente e costantemente riscontrate (anche per il tramite di altro collaboratore, FABIO TRANCHINA), smentivano radicalmente le propalazioni accusatorie di Scarantino, Andriotta e Candura, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Caltanissetta chiedeva, in data 13 ottobre 2011, alla Corte d’Appello di Catania la revisione delle sentenze di condanna inflitte in esito dei processi cosiddetti “Borsellino uno” e “Borsellino bis”. Il processo di revisione: la corte d’Appello di Catania assolve tutti gli imputati condannati in precedenza. CONSIDERATE ATTENDIBILI E DETERMINANTI (contrariamente a quanto sostenuto dal PM Di Matteo) LE DICHIARAZIONI DI GASPARE SPATUZZA.
La REVISIONE – A quasi venticinque anni di distanza dalla Strage di Via D’Amelio, il Processo di Appello di revisione per la Strage a seguito delle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, si conclude con l’assoluzione dal reato di strage per dieci imputati che erano stati condannati alla pena dell’ergastolo:

 

 


 


STRAGE VIA D’AMELIO – Iniziate le riprese de “IL DEPISTAGGIO”

 

 

IL DEPISTAGGIO

PROCESSI – INDAGINI – INCHIESTE

L’ATTENTATO